San Miniato - Il movente, nei delitti e nei crimini, è fondamentale. Uccidere in un momento di follia, disperazione o gelosia, oppure uccidere per conto terzi a pagamento, non è la stessa cosa. Rubare per pagare i conti di una famiglia indigente non equivale a rubare per alimentare organizzazioni criminali internazionali. Nel caso del P2P, i cui utenti negli spot antipirateria vengono equiparati a ladri da B-movie, è curioso che si tenga così poco conto del movente.
Cosa spinge milioni di persone a scaricare musica e film? Cosa potrebbe rispondere in un processo un reo confesso, uno scaricatore privato, domestico, di quelli che ce ne sono milioni, e che voglia spiegare il perché? Cos'altro potrebbe dire se non che voleva sentire musica gratuitamente, o vedersi film gratuitamente? Questo è il movente, questo è il delitto con cui fare i conti, questo il criminale. Guardiamolo bene: è una persona che vuole musica, film, giochi, programmi, e che ne ha bisogno per star meglio, divertirsi, migliorarsi, godere.
In un quartiere cittadino se furti e rapine aumentano esponenzialmente le amministrazioni possono fare due cose: reprimere la criminalità o eliminare le cause - il movente - che portano ai crimini. Fermarsi alla repressione, senza adottare contromisure sul territorio, non cancella il crimine. Quello resta. E resta anche il movente. Se la pena di morte non serve a ridurre la criminalità, figuriamoci se le peraltro rarissime sanzioni ai "pirati del P2P" bastino a cancellare "il delitto" o aggredire il movente.
Se è vero che la famiglia della casalinga di Voghera s'arrabatta con denari che certo la spingono più facilmente verso il Mulo che verso i tradizionali circuiti della distribuzione a pagamento, nel caso del P2P non si può ridurre tutto ad una questione economica.
In posti come quello dove vivo, con DVD in affitto a 3 euro al giorno e cinema a 8 euro, spenderne meno di 20 al mese per avere un "canale di download" aperto giorno e notte è un affare per tutte le famiglie. Su quel canale ci si può trovare l'ultimo film in uscita ma anche introvabili chicche d'archivio, irreperibili altrove. Filmografie di Pasolini e Totò, fantascienza anni 50, discografie di cantautori, il meglio del cinema trash italiano. Tutto o quasi, subito o quasi. Non parliamo dell'utopia anarchica di un pirata, ma di una realtà per milioni di italiani.
Nei miei vent'anni "accedere" al parco musicale completo esistente era tecnicamente impossibile. Frequentando molti amici e negozi di dischi riuscivo ad ascoltare solo una minima parte di tutto quel che volevo sentire. Ho persino lavorato per un decennio nel secondo archivio discografico europeo, eppure c'era sempre qualche disco nuovo che non riuscivo ad ascoltare, a raggiungere. Oggi conosco 60enni che in 10 anni di P2P si sono fatti piccoli archivi di nostalgie e di copie digitali di cassette ammuffite nelle scatole sotto il letto. Ho visto 12enni bearsi della gioia di avere l'intera discografia di Laura Pausini nel proprio miniplayer da taschino. So di operai da 600 euro al mese che controllano eMule di prima mattina contenti del fatto che "se non si ferma il download stasera c'ho anche un bel filmetto", gustandosi in macchina nella vecchia autoradio un Cd appena scaricato in mp3 e poi masterizzato.
E vedo anche hard disk esterni in vendita a prezzi stracciati (persino col telecomando) pronti a riempirsi di DivX, Mp3, discografie compresse in RAR, immagini ISO di giochi da masterizzare, screener cinematografici con l'audio che rimbomba. Eppure in tutto questo io proprio non riesco a vedere il crimine perché il movente è vivere in serenità, conoscere e gustare, è un movente nobile, come nobile è il cuore del P2P.
In tutti loro vedo solo la "la fame del Bello", inteso come piacere e come personale ricerca di un miglioramento della qualità della propria vita. Un movente talmente umano e nitido, ai miei occhi, da impormi una riflessione. Se escludiamo il fine di lucro, e dunque ci concentriamo sulla stragrande maggioranza degli utenti internazionali del P2P, il fine è il Piacere. Il piacere di un libro, un film, una canzone, un gioco. Il divertimento. Il Bello.
Il movente è poter accedere a contenuti altrimenti indisponibili, oppure recintati da modelli di business su cui ci si affanna in tanti, tutti intorno al loro capezzale. Il movente è fruire di contenuti nobili e utili al miglioramento della propria esistenza. Questa è l'intenzione, una pulsione innocente e diffusa, e così mi sembra venga percepita da tutti, fuorché da chi crede di rimetterci, come le major.
Chi scarica musica non lo fa per fare un dispetto agli autori ma per godere del piacere di ascoltare cosa hanno realizzato. Chi scarica Jovanotti insomma non lo fa perché lo odia, ma lo fa perchè Jovanotti gli piace, e prova piacere ad ascoltare la sua musica.
Dove sono le reti WiFi cittadine dalle quali attingere gratuitamente a milioni di film e trasmissioni della televisione pubblica? Dove sono le biblioteche dalle quali scaricarsi sulla chiavetta USB qualsiasi libro? Dove sono le radio che mandano la musica che piace a me, quando voglio io, gratuitamente? Dov'è il "computer di bordo" con lo scibile umano in formato digitale, accessibile da chiunque? In mancanza di tutto questo, armate di nobili Cercatori del Bello procedono per la propria via, e non sembrano proprio volersi fermare.
Il P2P incarna per milioni niente più che uno scambio etico e paritario, un peering dovuto al fatto che quella è la sola possibilità reale per accedere proprio ai contenuti di cui si sente il bisogno. Sono milioni di curiosi, che annusano molto più di quello che l'industria ha da offrire, e il P2P è uno strumento che viene percepito come un mezzo per stare bene e godersi le cose belle della vita. Come certi liquori.
È questo il crimine? E chi trova il modo di dirglielo? Come spiegare ad un uomo curioso che la sua voglia di conoscenza è un crimine? Il più grande delitto è soltanto ignorare il movente di un comportamento, un movente che viene da molto più lontano dell'industria del copyright. Una necessità umana, e nobile, come il nobile cuore del P2P.
Luca Schiavoni
venerdì 16 maggio 2008
Videogiochi, come ci si lavora in Italia?
Come si produce un videogame?
Roma - Punto Informatico ha raggiunto Koala Games, una piccola software house italiana che sviluppa videogiochi didattici: Educazione Stradale ed Ambientale, Cittadinanza, Legalità, Salute. Con Ivan Venturi, suo fondatore assieme a Max Di Fraia, abbiamo affrontato tematiche su questo difficile settore. Come nasce un videogioco? Di che cosa c'è bisogno per svilupparlo? Quali sono gli strumenti indispensabili? Che ruolo ha l'Italia nel mercato videoludico internazionale? Quali sono gli sbocchi lavorativi tematici? Che competenze è necessario possedere per lavorare nel settore dei videogame? Università o fai da te? Nell'intervista che segue le risposte a questi interrogativi.
Punto Informatico: Come nasce un videogioco?
Ivan Venturi: Dalla mia esperienza, elevando l'empirismo a principio, ho dedotto quattro macrofasi per la realizzazione di un videogioco mediamente complesso.
La prima è l'ideazione tecnico-creativa, che procede di pari passo con l'individuazione della necessità che si intende soddisfare.
L'idea diventa poi un documento di design, nel quale sono definite caratteristiche creative, tecniche, di contenuto. Contemporaneamente si sviluppa un piccolo business plan del progetto, cioè un bilancio previsionale di ciò che si intende costruire, che deve confrontarsi col bilancio previsionale vero e proprio dell'azienda.
La seconda macrofase è lo sviluppo dello storyboard nel quale, limitando al massimo l'approssimazione che inesorabilmente in fase di sviluppo si trasforma in errore, si definiscono tutti i meccanismi, tutti i funzionamenti, tutti i contenuti necessari... insomma tutti i vari elementi di grafica, 2D e 3D, animazioni, audio e testi, dati e scenari che sono necessari per il completamento del videogioco. Quindi un inventario, una sorta di capitolato del progetto.
La terza macrofase è lo sviluppo dei materiali grafici, audio e testuali, dati e scenari. Qui si realizzano tutti i contenuti, tutto ciò che il software utilizzerà per generare il gioco.
La quarta macrofase è l'implementazione, dove tutti i contenuti vengono inseriti e viene realizzato il software necessario a muovere il tutto. Al termine, ci sono le importanti fasi della postproduzione e del testing.
Ognuna di queste macrofasi è poi composta da altre fasi, più o meno complesse, ognuna delle quali corrisponde a un altro work-flow, un'altra pipeline di produzione, insomma tante altre cose da progettare e fare.
PI: Un percorso comunque piuttosto lineare
IV: Parallelamente a questo processo, vi è lo sviluppo della tecnologia software, dell'engine e degli editor, che procede quasi autonomamente rispetto allo sviluppo vero e proprio, o che può essere addirittura già esistente. Insomma procedere con una propria autonomia.
PI: Ad esempio?
IV: Noi abbiamo investito moltissimo nello sviluppo della nostra tecnologia ERT-Metropolis, che è composta da strumenti di creazione dati e dall'engine vero e proprio, e che continuiamo a sviluppare a prescindere dai progetti nei quali essa viene utilizzata.
Inoltre, a seconda del tipo di videogioco (simulatore di guida, gestionale, FPS, RPG ecc) cambia la struttura del progetto e di conseguenza delle fasi necessarie a produrlo, e a seconda della piattaforma tecnologica ci sono altre importanti considerazioni da fare. Un videogioco per cellulari per esempio è differente nel suo sviluppo da un videogioco PC: la fase di gran lunga più complessa è l'adattamento e il collaudo del gioco sui tanti telefoni esistenti, in continua evoluzione e con caratteristiche di display e velocità molto differenziate.
Finito il lavoro tecnico, segue poi tutto quello produttivo-commerciale: manuali, packaging, promocomunicazione, materiali web, eccetera.
PI: Quali sono le figure professionali indispensabili per sviluppare un videogame?
Bisogna certamente considerare la piattaforma tecnologica. Ne analizzo alcune.
- Un videogioco PC ha bisogno di programmatori (C++, Delphi), grafici 2D, modellatori e animatori 3D, operatori di scenario, storyboarder, musicisti ed effettisti, dialoghisti, visualizers, tester.
- Un videogioco FLASH ha bisogno di un programmatore flashscript, di un grafico flash-2D vettoriale, di un musicista.
- Un videogioco 2D per telefono cellulare ha bisogno di un programmatore java-symbian, di un grafico bitmap, di un tester che abbia a disposizione tutti i modelli di telefoni necessari.
PI: Tutto qui?
IV: Quando un videogioco è piccolo, la stessa persona ricopre normalmente ben più di un ruolo. Per questo nei videogiochi Flash e per telefoni cellulari non ho indicato le altre competenze (storyboarder, visualizer, tester ecc.).
Tutti i videogiochi hanno inoltre bisogno di un direttore creativo, un direttore tecnico, un direttore di produzione. Infine c'è la figura dell'imprenditore, produttore o manager o come lo si voglia chiamare, che si preoccupa di intraprendere, sostenere, realizzare economicamente e finanziariamente il progetto.

PI: Che strumenti utilizzate?
IV: Utilizziamo un complesso engine di nostra produzione, principalmente sviluppato in delphi, nel quale abbiamo investito molto, in lavoro e in denaro, ma che consente ora di sviluppare in tempi brevi e costi contenuti tutti i prodotti che si rendono necessari.
Il sistema ERT-Metropolis è costituito dall'engine 3D e le sue varie versioni, dalle strutture di gioco, dagli editor degli scenari e dei vari tipi di contenuto, dalle librerie 2D e 3D di elementi relativi alle tematiche di nostro interesse (educazione stradale, ambientale, salute, cittadinanza, legalità, media education).
PI: Nello specifico, di quali software usufruite?
IV: Utilizziamo Delphi-DirectX per la realizzazione dell'engine e degli editor; l'engine free Newton per la gestione della fisica; per la grafica 2D Photoshop; per la grafica vettoriale web ovviamente Flash; per l'impaginazione Adobe InDesign; per il 3D in modellazione la maggior parte dei nostri collaboratori usa 3DStudioMax e una parte Maya; per le fasi dell'esportazione e il controllo dei modelli usiamo Deep Exploration; per il web usiamo VisualStudio Express Edition 2003.
PI: Quali sono i costi di sviluppo di un videogioco?
IV: Come è ormai noto, i videogiochi tripla A e comunque tutti quelli del mercato consumer sviluppati oltreoceano e oltremanica, hanno investimenti multimilionari. Purtroppo non è così, e non lo è mai stato, in Italia, a parte alcuni casi in cui importanti software house straniere hanno aperto qui delle "filiali".
Facendo riferimento ai videogiochi sviluppati dalla nostra software house, un prodotto PC "medio" costa nel complesso dai 30.000 ai 50.000 euro. Qui non considero l'ammortamento dello sviluppo della tecnologia software ERT-Metropolis, nella quale dal 2003 abbiamo investito quasi mezzo milione di euro. E buona parte dei nostri investimenti continua ancora a finire lì.
Un videogioco 2D-cartoon "per bambini" ha un costo indicativo di 10.000-20.000 euro.
Un videogioco advergame sviluppato in flash può costare dai 2.000 ai 10-15.000 euro.
Un videogioco per cellulari di nuova tecnologia, sviluppato per un buon numero di modelli differenti, può costare dai 15.000 ai 30.000 euro.
Sono naturalmente stime assolutamente approssimative, essendo infinite le variabili che incidono sul costo; fornisco più che altro degli ordini di grandezza.
Lanciare un'impresa videoludica in Italia
PI: La vostra azienda sviluppa videogiochi didattici: avete deciso di dedicarvi ad una nicchia di mercato. Perché questa decisione?
IV: Dalla fine degli anni '90 ho iniziato a sviluppare e produrre videogiochi specificamente rivolti a un pubblico "piccolo" con tematiche didattiche, quali la matematica, la logica, le lettere, e le nuove discipline della "convivenza civile" (la definizione è recente) quali l'educazione ambientale, stradale, alla salute e così via.
Quando è nata la nostra azienda abbiamo scelto di dedicarci alla nicchia dei videogiochi didattici, oltre che per le mie esperienze e la passione che qui tutti nutriamo per i videogiochi didattici, per il "vuoto" che abbiamo notato nel settore, e per la possibilità di fornire questi prodotti al mercato delle pubbliche amministrazioni, che sono i nostri clienti principali, scuole comprese. I prodotti che facciamo sono rivolti anche al grande pubblico, anche se vengono acquistati dai genitori per essere utilizzati dai figli.
PI: In Italia conosci altre aziende di videogame che hanno la vostra stessa strategia di marketing?
IV: Ci sono tante altre realtà che operano in nicchie differenti (giochi per telefonia mobile, adventure games, advergames ecc), difficile fare un elenco delle principali. Per gli adventure games cito senz'altro Artematica di Chiavari. Per la telefonia mobile Imagimotion di Roma. Per gli adver games flash ci sono una grande quantità di webagencies. In realtà però, se non pubblichi direttamente, cioè sei editore di te stesso, i tuoi prodotti, è difficile parlare di nicchia, dato che tendenzialmente lavorando per terzi fai quello che ti viene richiesto.
Pochi sono gli editori (cioè vendono-distribuiscono direttamente agli utenti) dei propri prodotti. Noi abbiamo deciso di fare questo passo anni fa e di conquistare questa autonomia. Questo ha determinato la necessità di una strategia di posizionamento preciso, cioè quello dei videogiochi didattici.
Cito anche i bravissimi ragazzi di Adventurès Planet, che invece hanno avviato (ormai da qualche anno) proprio un'attività di distribuzione e edizione di videogiochi d'avventura perlopiù acquistati dall'estero e non ancora distribuiti in Italia. A quanto so, il recente revival delle avventure, il cui mercato si credeva sopito, si deve in gran parte alla loro attività e passione.
PI: Quali opportunità di lavoro vedi per chi decide di dedicarsi al settore dei videogame nel nostro Paese?
IV: Ci sono molte possibilità, in continua evoluzione. Il PC è posseduto da una famiglia di italiani (con minorenne) su 3. Un italiano su tre videogioca. Dai 14 ai 19 anni il 97% dei ragazzi e delle ragazze gioca. I videogiochi sono su web, su cellulare, su PC, su consolle, su un sacco di altre cose. Questo significa che il videogioco è un medium sempre più utilizzato ed è ormai nella nostra cultura. Conseguentemente, la necessità della conoscenza (teorica e tecnologica) dei videogiochi può essere applicabile in molti modi: nella comunicazione, nella didattica, nell'e-learning, nello sviluppo software in generale.
PI: Volendo andare più nello specifico?
IV: Per quanto riguarda lo sviluppo di videogiochi "classici", in Italia ci sono alcune realtà altamente professionali, come Milestone e la filiale italiana di UbiSoft, nelle quali certamente si ha la possibilità di lavorare a produzioni importanti. Niente purtroppo a confronto dell'industria degli altri paesi.
PI: Visto il mercato, nuove aziende di settore non troverebbero spazio?
IV: Certamente l'alternativa più logica è la costituzione di nuove imprese, dove però, oltre la capacità tecnica-creativa, è necessaria una solida formazione commerciale/amministrativa e un'altrettanto solida base finanziaria/industriale. Questo rende le cose piuttosto difficili, specialmente in Italia dove il mercato interno è abbastanza ridotto e dominato dai grandi titoli.

PI: Volendocisi impegnare da dove converrebbe partire?
IV: A mio avviso, una possibilità certamente impegnativa ma seria è quella di creare un'azienda di sviluppo, che sia in grado di finanziare almeno parte della sua prima produzione videoludica (senza la quale nessuno, dico nessuno al mondo ti presterà mai attenzione), facendo di essa un prodotto commercializzabile a livello internazionale, ovviamente senza cercare di competere con i "grandi", che dispongono di risorse e mezzi davvero inarrivabili. Ma realizzando comunque qualcosa di "professionale" (creativamente, tecnicamente, commercialmente) che possa avvicinarsi agli standard qualitativi del pubblico internazionale.
E già questa è un'impresa che richiede persone che lavorano, che devono essere pagate, un'amministrazione che funziona, un ufficio, dei macchinari, acquisti eccetera. E soldi che quindi devono essere investiti.
Infine, una volta realizzato il proprio prodotto (demo o beta che sia) cercare un publisher all'estero, frequentando le varie fiere di settore, avviando contatti diretti ecc.
Nel caso invece ci fosse anche una volontà commerciale precisa da parte di un grosso produttore e distributore italiano di prodotti simili ai videogiochi (per quanto riguarda la merceologia), invece tutto potrebbe essere diverso.
PI: Ad un imprenditore che volesse partire cosa consiglieresti?
IV: Posso consigliare di prestare moltissima attenzione allo spesso noiosissimo ma indispensabile mondo istituzionale. Finanziamenti pubblici alle giovani imprese, alle nuove tecnologie ICT, finanziamenti paraistituzionali (es. provenienti da banche) sono assolutamente da tenere in considerazione. Per esempio, la nostra azienda è nata grazie a un finanziamento pubblico chiamato Mambo del Comune di Bologna. Grazie ad esso, siamo riusciti a finanziare la complessa macchina software alla base della nostra attività.
Elaborare la richiesta di finanziamento pubblico, entrare in graduatoria, mettere in piedi l'attività e ricevere i finanziamenti poi non è certo facile. Ma non è mai facile ottenere i fondi necessari a costituire un'impresa, cioè trovare i "finanziatori".
PI: Una strada tutta in salita?
IV: No. Realizzare videogiochi rientra a) nelle nuove tecnologie b) nelle industrie "sostenibili" c) in un mercato già solidissimo e sempre in ascesa d) in un ambito di grande interesse accademico. Tutto questo sia in ambito nazionale, che europeo (si veda ad esempio i progetti di finanziamento della European Games Developer Association). Ciò significa che i videogiochi sono una tematica assolutamente di interesse. Quindi, a chi vuole iniziare, consiglio di rimboccarsi le maniche, trovare una idea d'impresa originale, sostenibile finanziariamente e economicamente, e adottare una strategia innovativa che consenta di insinuarsi nei tanti spiragli che esistono e che continuamente vanno formandosi.
Sviluppo e percorsi professionali
PI: Parliamo di Università. Quali pensi siano i Corsi di Laurea che possano incanalare gli studenti nell'industria dei videogame?
IV: Sviluppando giochi didattici e collaborando, anche come docente, con l'Università di Bologna - Scienze della Formazione, ritengo utile acquisire competenze scientifiche riguardo la fruizione dei contenuti da parte dell'utente. Nel nostro caso significa tradurre i contenuti educativi in materiale videoludico per le varie fasce d'età.
Certamente, per i programmatori è utilissima una laurea in informatica (ingegneria e non), coadiuvata da molta esperienza autodidatta per le tecnologie specifiche. Per i modellatori 3D e i grafici ritengo molto più utile una solida esperienza pratica.
So che all'Università di Crema c'era un corso di programmazione di videogiochi; anche allo IED ci sono alcuni master in game design.
Personalmente non credo molto nei corsi un po' generici, non ne vedo un utilizzo pratico, specialmente qui in Italia.
PI: A chi vuole proseguire da autodidatta cosa consigli? Secondo te è meglio una formazione accademica o il fai da te?
IV: Far coincidere, anche solo in parte, i propri studi o obiettivi professionali con la propria passione è certamente importante. Come lo è acquisire una buona cultura generale.
Come già detto, per la programmazione la base teorica informatica è fondamentale. Per i grafici-modellatori 3D invece ritengo essenziale il talento innato, la cultura generale e visiva, e assolutamente la pratica e la specializzazione negli strumenti software che si usano. E per tutti l'aggiornamento continuo.
PI: Quali tecnologie consiglieresti a chi vuole iniziare?
IV: Sotto il profilo "pratico", per chi ha interesse nella programmazione può essere interessante iniziare utilizzando dei metalinguaggi o degli authoring system che consentano anche un buon livello di scripting. Per esempio Director-Shockwave, con il quale si possono raggiungere livelli qualitativi davvero molto alti pur facendo piccoli passi.
Basti pensare ai plug-in disponibili (vedi il motore della fisica Havock, disponibile anche per Shockwave) e ai materiali "free" disponibili in rete per tale piattaforma: vedere come gli altri hanno fatto le cose è un ottimo modo di imparare.
PI: Come muoversi tra Flash, 3D?
IV: Stessa cosa si può dire per Flash, che a livello di scripting è un po' più idiosincrasico, ma è enormemente più diffuso di Director (come utenza di prodotti realizzati). Imparare a lavorare bene in Flash, come si sa, può essere un modo relativamente semplice e immediato per proporsi sul mercato delle web-agencies, webgames e adver games.
Per quanto riguarda la programmazione in C o la modellazione 3D a livello professionale: su siti come gameprog.it o altri simili si trovano moltissimi tutorial di alto livello, dalla modellazione alla programmazione 3D. Chi ha passione e determinazione e vuole imparare non rimane certo a bocca asciutta nell'era di Internet.
Nelle prossime settimane Punto Informatico continuerà ad approfondire le tematiche del settore videoludico dando la parola direttamente a chi ne fa parte, per lavoro o per passione, qui in Italia. Chiunque voglia dare il proprio contributo con idee, contatti, informazioni, può farlo scrivendo alla redazione
a cura di Enrico "Fr4nk" Giancipoli
Roma - Punto Informatico ha raggiunto Koala Games, una piccola software house italiana che sviluppa videogiochi didattici: Educazione Stradale ed Ambientale, Cittadinanza, Legalità, Salute. Con Ivan Venturi, suo fondatore assieme a Max Di Fraia, abbiamo affrontato tematiche su questo difficile settore. Come nasce un videogioco? Di che cosa c'è bisogno per svilupparlo? Quali sono gli strumenti indispensabili? Che ruolo ha l'Italia nel mercato videoludico internazionale? Quali sono gli sbocchi lavorativi tematici? Che competenze è necessario possedere per lavorare nel settore dei videogame? Università o fai da te? Nell'intervista che segue le risposte a questi interrogativi.
Punto Informatico: Come nasce un videogioco?
Ivan Venturi: Dalla mia esperienza, elevando l'empirismo a principio, ho dedotto quattro macrofasi per la realizzazione di un videogioco mediamente complesso.
La prima è l'ideazione tecnico-creativa, che procede di pari passo con l'individuazione della necessità che si intende soddisfare.
L'idea diventa poi un documento di design, nel quale sono definite caratteristiche creative, tecniche, di contenuto. Contemporaneamente si sviluppa un piccolo business plan del progetto, cioè un bilancio previsionale di ciò che si intende costruire, che deve confrontarsi col bilancio previsionale vero e proprio dell'azienda.
La seconda macrofase è lo sviluppo dello storyboard nel quale, limitando al massimo l'approssimazione che inesorabilmente in fase di sviluppo si trasforma in errore, si definiscono tutti i meccanismi, tutti i funzionamenti, tutti i contenuti necessari... insomma tutti i vari elementi di grafica, 2D e 3D, animazioni, audio e testi, dati e scenari che sono necessari per il completamento del videogioco. Quindi un inventario, una sorta di capitolato del progetto.
La terza macrofase è lo sviluppo dei materiali grafici, audio e testuali, dati e scenari. Qui si realizzano tutti i contenuti, tutto ciò che il software utilizzerà per generare il gioco.
La quarta macrofase è l'implementazione, dove tutti i contenuti vengono inseriti e viene realizzato il software necessario a muovere il tutto. Al termine, ci sono le importanti fasi della postproduzione e del testing.
Ognuna di queste macrofasi è poi composta da altre fasi, più o meno complesse, ognuna delle quali corrisponde a un altro work-flow, un'altra pipeline di produzione, insomma tante altre cose da progettare e fare.
PI: Un percorso comunque piuttosto lineare
IV: Parallelamente a questo processo, vi è lo sviluppo della tecnologia software, dell'engine e degli editor, che procede quasi autonomamente rispetto allo sviluppo vero e proprio, o che può essere addirittura già esistente. Insomma procedere con una propria autonomia.
PI: Ad esempio?
IV: Noi abbiamo investito moltissimo nello sviluppo della nostra tecnologia ERT-Metropolis, che è composta da strumenti di creazione dati e dall'engine vero e proprio, e che continuiamo a sviluppare a prescindere dai progetti nei quali essa viene utilizzata.
Inoltre, a seconda del tipo di videogioco (simulatore di guida, gestionale, FPS, RPG ecc) cambia la struttura del progetto e di conseguenza delle fasi necessarie a produrlo, e a seconda della piattaforma tecnologica ci sono altre importanti considerazioni da fare. Un videogioco per cellulari per esempio è differente nel suo sviluppo da un videogioco PC: la fase di gran lunga più complessa è l'adattamento e il collaudo del gioco sui tanti telefoni esistenti, in continua evoluzione e con caratteristiche di display e velocità molto differenziate.
Finito il lavoro tecnico, segue poi tutto quello produttivo-commerciale: manuali, packaging, promocomunicazione, materiali web, eccetera.
PI: Quali sono le figure professionali indispensabili per sviluppare un videogame?
Bisogna certamente considerare la piattaforma tecnologica. Ne analizzo alcune.
- Un videogioco PC ha bisogno di programmatori (C++, Delphi), grafici 2D, modellatori e animatori 3D, operatori di scenario, storyboarder, musicisti ed effettisti, dialoghisti, visualizers, tester.
- Un videogioco FLASH ha bisogno di un programmatore flashscript, di un grafico flash-2D vettoriale, di un musicista.
- Un videogioco 2D per telefono cellulare ha bisogno di un programmatore java-symbian, di un grafico bitmap, di un tester che abbia a disposizione tutti i modelli di telefoni necessari.
PI: Tutto qui?
IV: Quando un videogioco è piccolo, la stessa persona ricopre normalmente ben più di un ruolo. Per questo nei videogiochi Flash e per telefoni cellulari non ho indicato le altre competenze (storyboarder, visualizer, tester ecc.).
Tutti i videogiochi hanno inoltre bisogno di un direttore creativo, un direttore tecnico, un direttore di produzione. Infine c'è la figura dell'imprenditore, produttore o manager o come lo si voglia chiamare, che si preoccupa di intraprendere, sostenere, realizzare economicamente e finanziariamente il progetto.
PI: Che strumenti utilizzate?
IV: Utilizziamo un complesso engine di nostra produzione, principalmente sviluppato in delphi, nel quale abbiamo investito molto, in lavoro e in denaro, ma che consente ora di sviluppare in tempi brevi e costi contenuti tutti i prodotti che si rendono necessari.
Il sistema ERT-Metropolis è costituito dall'engine 3D e le sue varie versioni, dalle strutture di gioco, dagli editor degli scenari e dei vari tipi di contenuto, dalle librerie 2D e 3D di elementi relativi alle tematiche di nostro interesse (educazione stradale, ambientale, salute, cittadinanza, legalità, media education).
PI: Nello specifico, di quali software usufruite?
IV: Utilizziamo Delphi-DirectX per la realizzazione dell'engine e degli editor; l'engine free Newton per la gestione della fisica; per la grafica 2D Photoshop; per la grafica vettoriale web ovviamente Flash; per l'impaginazione Adobe InDesign; per il 3D in modellazione la maggior parte dei nostri collaboratori usa 3DStudioMax e una parte Maya; per le fasi dell'esportazione e il controllo dei modelli usiamo Deep Exploration; per il web usiamo VisualStudio Express Edition 2003.
PI: Quali sono i costi di sviluppo di un videogioco?
IV: Come è ormai noto, i videogiochi tripla A e comunque tutti quelli del mercato consumer sviluppati oltreoceano e oltremanica, hanno investimenti multimilionari. Purtroppo non è così, e non lo è mai stato, in Italia, a parte alcuni casi in cui importanti software house straniere hanno aperto qui delle "filiali".
Facendo riferimento ai videogiochi sviluppati dalla nostra software house, un prodotto PC "medio" costa nel complesso dai 30.000 ai 50.000 euro. Qui non considero l'ammortamento dello sviluppo della tecnologia software ERT-Metropolis, nella quale dal 2003 abbiamo investito quasi mezzo milione di euro. E buona parte dei nostri investimenti continua ancora a finire lì.
Un videogioco 2D-cartoon "per bambini" ha un costo indicativo di 10.000-20.000 euro.
Un videogioco advergame sviluppato in flash può costare dai 2.000 ai 10-15.000 euro.
Un videogioco per cellulari di nuova tecnologia, sviluppato per un buon numero di modelli differenti, può costare dai 15.000 ai 30.000 euro.
Sono naturalmente stime assolutamente approssimative, essendo infinite le variabili che incidono sul costo; fornisco più che altro degli ordini di grandezza.
Lanciare un'impresa videoludica in Italia
PI: La vostra azienda sviluppa videogiochi didattici: avete deciso di dedicarvi ad una nicchia di mercato. Perché questa decisione?
IV: Dalla fine degli anni '90 ho iniziato a sviluppare e produrre videogiochi specificamente rivolti a un pubblico "piccolo" con tematiche didattiche, quali la matematica, la logica, le lettere, e le nuove discipline della "convivenza civile" (la definizione è recente) quali l'educazione ambientale, stradale, alla salute e così via.
Quando è nata la nostra azienda abbiamo scelto di dedicarci alla nicchia dei videogiochi didattici, oltre che per le mie esperienze e la passione che qui tutti nutriamo per i videogiochi didattici, per il "vuoto" che abbiamo notato nel settore, e per la possibilità di fornire questi prodotti al mercato delle pubbliche amministrazioni, che sono i nostri clienti principali, scuole comprese. I prodotti che facciamo sono rivolti anche al grande pubblico, anche se vengono acquistati dai genitori per essere utilizzati dai figli.
PI: In Italia conosci altre aziende di videogame che hanno la vostra stessa strategia di marketing?
IV: Ci sono tante altre realtà che operano in nicchie differenti (giochi per telefonia mobile, adventure games, advergames ecc), difficile fare un elenco delle principali. Per gli adventure games cito senz'altro Artematica di Chiavari. Per la telefonia mobile Imagimotion di Roma. Per gli adver games flash ci sono una grande quantità di webagencies. In realtà però, se non pubblichi direttamente, cioè sei editore di te stesso, i tuoi prodotti, è difficile parlare di nicchia, dato che tendenzialmente lavorando per terzi fai quello che ti viene richiesto.
Pochi sono gli editori (cioè vendono-distribuiscono direttamente agli utenti) dei propri prodotti. Noi abbiamo deciso di fare questo passo anni fa e di conquistare questa autonomia. Questo ha determinato la necessità di una strategia di posizionamento preciso, cioè quello dei videogiochi didattici.
Cito anche i bravissimi ragazzi di Adventurès Planet, che invece hanno avviato (ormai da qualche anno) proprio un'attività di distribuzione e edizione di videogiochi d'avventura perlopiù acquistati dall'estero e non ancora distribuiti in Italia. A quanto so, il recente revival delle avventure, il cui mercato si credeva sopito, si deve in gran parte alla loro attività e passione.
PI: Quali opportunità di lavoro vedi per chi decide di dedicarsi al settore dei videogame nel nostro Paese?
IV: Ci sono molte possibilità, in continua evoluzione. Il PC è posseduto da una famiglia di italiani (con minorenne) su 3. Un italiano su tre videogioca. Dai 14 ai 19 anni il 97% dei ragazzi e delle ragazze gioca. I videogiochi sono su web, su cellulare, su PC, su consolle, su un sacco di altre cose. Questo significa che il videogioco è un medium sempre più utilizzato ed è ormai nella nostra cultura. Conseguentemente, la necessità della conoscenza (teorica e tecnologica) dei videogiochi può essere applicabile in molti modi: nella comunicazione, nella didattica, nell'e-learning, nello sviluppo software in generale.
PI: Volendo andare più nello specifico?
IV: Per quanto riguarda lo sviluppo di videogiochi "classici", in Italia ci sono alcune realtà altamente professionali, come Milestone e la filiale italiana di UbiSoft, nelle quali certamente si ha la possibilità di lavorare a produzioni importanti. Niente purtroppo a confronto dell'industria degli altri paesi.
PI: Visto il mercato, nuove aziende di settore non troverebbero spazio?
IV: Certamente l'alternativa più logica è la costituzione di nuove imprese, dove però, oltre la capacità tecnica-creativa, è necessaria una solida formazione commerciale/amministrativa e un'altrettanto solida base finanziaria/industriale. Questo rende le cose piuttosto difficili, specialmente in Italia dove il mercato interno è abbastanza ridotto e dominato dai grandi titoli.
PI: Volendocisi impegnare da dove converrebbe partire?
IV: A mio avviso, una possibilità certamente impegnativa ma seria è quella di creare un'azienda di sviluppo, che sia in grado di finanziare almeno parte della sua prima produzione videoludica (senza la quale nessuno, dico nessuno al mondo ti presterà mai attenzione), facendo di essa un prodotto commercializzabile a livello internazionale, ovviamente senza cercare di competere con i "grandi", che dispongono di risorse e mezzi davvero inarrivabili. Ma realizzando comunque qualcosa di "professionale" (creativamente, tecnicamente, commercialmente) che possa avvicinarsi agli standard qualitativi del pubblico internazionale.
E già questa è un'impresa che richiede persone che lavorano, che devono essere pagate, un'amministrazione che funziona, un ufficio, dei macchinari, acquisti eccetera. E soldi che quindi devono essere investiti.
Infine, una volta realizzato il proprio prodotto (demo o beta che sia) cercare un publisher all'estero, frequentando le varie fiere di settore, avviando contatti diretti ecc.
Nel caso invece ci fosse anche una volontà commerciale precisa da parte di un grosso produttore e distributore italiano di prodotti simili ai videogiochi (per quanto riguarda la merceologia), invece tutto potrebbe essere diverso.
PI: Ad un imprenditore che volesse partire cosa consiglieresti?
IV: Posso consigliare di prestare moltissima attenzione allo spesso noiosissimo ma indispensabile mondo istituzionale. Finanziamenti pubblici alle giovani imprese, alle nuove tecnologie ICT, finanziamenti paraistituzionali (es. provenienti da banche) sono assolutamente da tenere in considerazione. Per esempio, la nostra azienda è nata grazie a un finanziamento pubblico chiamato Mambo del Comune di Bologna. Grazie ad esso, siamo riusciti a finanziare la complessa macchina software alla base della nostra attività.
Elaborare la richiesta di finanziamento pubblico, entrare in graduatoria, mettere in piedi l'attività e ricevere i finanziamenti poi non è certo facile. Ma non è mai facile ottenere i fondi necessari a costituire un'impresa, cioè trovare i "finanziatori".
PI: Una strada tutta in salita?
IV: No. Realizzare videogiochi rientra a) nelle nuove tecnologie b) nelle industrie "sostenibili" c) in un mercato già solidissimo e sempre in ascesa d) in un ambito di grande interesse accademico. Tutto questo sia in ambito nazionale, che europeo (si veda ad esempio i progetti di finanziamento della European Games Developer Association). Ciò significa che i videogiochi sono una tematica assolutamente di interesse. Quindi, a chi vuole iniziare, consiglio di rimboccarsi le maniche, trovare una idea d'impresa originale, sostenibile finanziariamente e economicamente, e adottare una strategia innovativa che consenta di insinuarsi nei tanti spiragli che esistono e che continuamente vanno formandosi.
Sviluppo e percorsi professionali
PI: Parliamo di Università. Quali pensi siano i Corsi di Laurea che possano incanalare gli studenti nell'industria dei videogame?
IV: Sviluppando giochi didattici e collaborando, anche come docente, con l'Università di Bologna - Scienze della Formazione, ritengo utile acquisire competenze scientifiche riguardo la fruizione dei contenuti da parte dell'utente. Nel nostro caso significa tradurre i contenuti educativi in materiale videoludico per le varie fasce d'età.
Certamente, per i programmatori è utilissima una laurea in informatica (ingegneria e non), coadiuvata da molta esperienza autodidatta per le tecnologie specifiche. Per i modellatori 3D e i grafici ritengo molto più utile una solida esperienza pratica.
So che all'Università di Crema c'era un corso di programmazione di videogiochi; anche allo IED ci sono alcuni master in game design.
Personalmente non credo molto nei corsi un po' generici, non ne vedo un utilizzo pratico, specialmente qui in Italia.
PI: A chi vuole proseguire da autodidatta cosa consigli? Secondo te è meglio una formazione accademica o il fai da te?
IV: Far coincidere, anche solo in parte, i propri studi o obiettivi professionali con la propria passione è certamente importante. Come lo è acquisire una buona cultura generale.
Come già detto, per la programmazione la base teorica informatica è fondamentale. Per i grafici-modellatori 3D invece ritengo essenziale il talento innato, la cultura generale e visiva, e assolutamente la pratica e la specializzazione negli strumenti software che si usano. E per tutti l'aggiornamento continuo.
PI: Quali tecnologie consiglieresti a chi vuole iniziare?
IV: Sotto il profilo "pratico", per chi ha interesse nella programmazione può essere interessante iniziare utilizzando dei metalinguaggi o degli authoring system che consentano anche un buon livello di scripting. Per esempio Director-Shockwave, con il quale si possono raggiungere livelli qualitativi davvero molto alti pur facendo piccoli passi.
Basti pensare ai plug-in disponibili (vedi il motore della fisica Havock, disponibile anche per Shockwave) e ai materiali "free" disponibili in rete per tale piattaforma: vedere come gli altri hanno fatto le cose è un ottimo modo di imparare.
PI: Come muoversi tra Flash, 3D?
IV: Stessa cosa si può dire per Flash, che a livello di scripting è un po' più idiosincrasico, ma è enormemente più diffuso di Director (come utenza di prodotti realizzati). Imparare a lavorare bene in Flash, come si sa, può essere un modo relativamente semplice e immediato per proporsi sul mercato delle web-agencies, webgames e adver games.
Per quanto riguarda la programmazione in C o la modellazione 3D a livello professionale: su siti come gameprog.it o altri simili si trovano moltissimi tutorial di alto livello, dalla modellazione alla programmazione 3D. Chi ha passione e determinazione e vuole imparare non rimane certo a bocca asciutta nell'era di Internet.
Nelle prossime settimane Punto Informatico continuerà ad approfondire le tematiche del settore videoludico dando la parola direttamente a chi ne fa parte, per lavoro o per passione, qui in Italia. Chiunque voglia dare il proprio contributo con idee, contatti, informazioni, può farlo scrivendo alla redazione
a cura di Enrico "Fr4nk" Giancipoli
alle
5/16/2008
Eee PC 900 si presenta al Belpaese
Milano - Svelato in anteprima al CeBIT di marzo, ieri il nuovo Eee PC 900 di Asus è stato ufficialmente presentato anche in Italia, dove arriverà ad il prossimo giugno al prezzo preannunciato di 399 euro. Rispetto al suo predecessore, che di fatto ha dato vita ad un nuovo segmento di mercato, il nuovo Eee PC si troverà ad affrontare un crescente numero di avversari, alcuni dei quali prodotti da colossi del settore come HP e Acer.
A dispetto delle indiscrezioni circolate nelle scorse settimane, la versione Linux dell'Eee PC 900, provvista di 20 GB di spazio disco, costerà esattamente quanto quella Windows, che offre invece 12 GB di storage. A quanto pare la considerazione fatta in occasione dell'annuncio di aprile era fondata: Asus ha dotato la versione Windows di un SSD meno capiente per compensare il costo della licenza del sistema operativo.
Sul mercato asiatico e nordamericano l'Eee PC 900 è in vendita già da alcuni giorni al prezzo di 549 dollari. Sebbene questo dovrebbe essere il prezzo ufficiale sia per la versione Linux (20G) che per quella Windows (12G), diversi negozi americani vendono il modello 20G ad un prezzo lievemente superiore: su Amazon, ad esempio, lo si trova a 555 dollari.
Il nuovo Eee PC si affianca all'acclamato modello 701 (v. recensione), il cui prezzo rimane invariato sui 299 euro. Rispetto a quest'ultimo, l'Eee PC 900 vanta uno schermo più ampio e con maggiore risoluzione, una webcam integrata con più megapixel, una maggiore quantità di memoria RAM e di massa, e un touchpad con supporto al multitouch. Per un confronto diretto tra le caratteristiche del vecchio e nuovo modello, si veda la tabella sotto.

A dispetto delle indiscrezioni circolate nelle scorse settimane, la versione Linux dell'Eee PC 900, provvista di 20 GB di spazio disco, costerà esattamente quanto quella Windows, che offre invece 12 GB di storage. A quanto pare la considerazione fatta in occasione dell'annuncio di aprile era fondata: Asus ha dotato la versione Windows di un SSD meno capiente per compensare il costo della licenza del sistema operativo.
Sul mercato asiatico e nordamericano l'Eee PC 900 è in vendita già da alcuni giorni al prezzo di 549 dollari. Sebbene questo dovrebbe essere il prezzo ufficiale sia per la versione Linux (20G) che per quella Windows (12G), diversi negozi americani vendono il modello 20G ad un prezzo lievemente superiore: su Amazon, ad esempio, lo si trova a 555 dollari.
Il nuovo Eee PC si affianca all'acclamato modello 701 (v. recensione), il cui prezzo rimane invariato sui 299 euro. Rispetto a quest'ultimo, l'Eee PC 900 vanta uno schermo più ampio e con maggiore risoluzione, una webcam integrata con più megapixel, una maggiore quantità di memoria RAM e di massa, e un touchpad con supporto al multitouch. Per un confronto diretto tra le caratteristiche del vecchio e nuovo modello, si veda la tabella sotto.
Come si noterà, nel campo Batteria della tabella vengono riportati due differenti amperaggi per l'Eee PC 900: il motivo è che sebbene le unità attualmente in commercio (e quella ricevuta dalla nostra redazione per i test) montino una batteria da 4400 mAh, alcuni laboratori hanno ricevuto da Asus versioni dell'Eee PC 900 con una batteria da 5200 mAh, dunque identica a quella dell'attuale modello 701. Secondo le indiscrezioni, nel prossimo futuro Asus dovrebbe rimpiazzare la batteria da 4400 mAh con il modello più capiente: c'è chi spera che questo upgrade - ancora non confermato - avvenga già a partire dal lancio italiano dell'Eee PC 900.
La novità più vistosa del nuovo cucciolo hi-tech di Asus è data senza dubbio dallo schermo da 8,9 pollici, che oltre ad aggiungere quasi due pollici in più a quello del precedente modello, porta la risoluzione a 1024 x 600 pixel: si tratta di una miglioria fondamentale sia per chi usa l'Eee PC per svago, come navigare sul Web, giocare e vedere film, sia per chi lo usa per lavoro, soprattutto nella gestione dei fogli di calcolo e dei lunghi documenti di testo (è ora possibile visualizzare un foglio A4 in una singola schermata).
L'altra grande novità tecnica dell'Eee PC 900 è data dal nuovo touchpad, che oltre ad avere una superficie di più generose dimensioni, supporta la tecnologia multitouch. Quest'ultima, chiamata FingerGlide, permette di utilizzare due dita per scorrere le pagine, ridimensionare una finestra o zoomare un'immagine o un foglio di calcolo.
Come emerso lo scorso mese, l'Eee PC 900 dispone di un SSD da 4 GB integrato, saldato direttamente sulla scheda madre, e di un SSD da 8 o 16 GB connesso allo slot interno mini PCI Express: questa configurazione, che prevede l'uso di due partizioni separate, sembra stata pensata per semplificare l'aggiornamento della memoria di massa.
Tra le altre caratteristiche del nuovo subnotebook si citano la webcam integrata da 1,3 megapixel, il chipset grafico Intel UMA, connettività WiFi 802.11b/g, lettore di schede SD/MMC, supporto all'audio HD, 3 porte USB, una porta VGA, un jack audio, un ingresso microfono, una porta Fast Ethernet e un processore mobile di Intel.
La CPU è la stessa del modello 701, ma mentre in quest'ultimo è undercloccata a 630 MHz, nel modello 900 gira alla frequenza nominale di 900 MHz. Il promesso processore Atom sarà impiegato in una futura revisione dell'Eee PC, probabilmente la stessa di cui ieri il blog francese blogeee.net ha svelato le prime foto.
Blogee.net afferma che le foto pubblicate (tra cui quella qui a fianco e quella sotto) appartengono al futuro Eee PC 901. Questa nuova incarnazione del mini notebook di Asus mostra alcune piccole modifiche al design, come le rifiniture metalliche e gli spigoli più arrotondati, e l'integrazione di due microfoni per la stereofonia. Dettaglio interessante, il logo di Asus è sparito per far posto al brand della linea Eee PC.


La novità più vistosa del nuovo cucciolo hi-tech di Asus è data senza dubbio dallo schermo da 8,9 pollici, che oltre ad aggiungere quasi due pollici in più a quello del precedente modello, porta la risoluzione a 1024 x 600 pixel: si tratta di una miglioria fondamentale sia per chi usa l'Eee PC per svago, come navigare sul Web, giocare e vedere film, sia per chi lo usa per lavoro, soprattutto nella gestione dei fogli di calcolo e dei lunghi documenti di testo (è ora possibile visualizzare un foglio A4 in una singola schermata).
L'altra grande novità tecnica dell'Eee PC 900 è data dal nuovo touchpad, che oltre ad avere una superficie di più generose dimensioni, supporta la tecnologia multitouch. Quest'ultima, chiamata FingerGlide, permette di utilizzare due dita per scorrere le pagine, ridimensionare una finestra o zoomare un'immagine o un foglio di calcolo.
Come emerso lo scorso mese, l'Eee PC 900 dispone di un SSD da 4 GB integrato, saldato direttamente sulla scheda madre, e di un SSD da 8 o 16 GB connesso allo slot interno mini PCI Express: questa configurazione, che prevede l'uso di due partizioni separate, sembra stata pensata per semplificare l'aggiornamento della memoria di massa.
Tra le altre caratteristiche del nuovo subnotebook si citano la webcam integrata da 1,3 megapixel, il chipset grafico Intel UMA, connettività WiFi 802.11b/g, lettore di schede SD/MMC, supporto all'audio HD, 3 porte USB, una porta VGA, un jack audio, un ingresso microfono, una porta Fast Ethernet e un processore mobile di Intel.
La CPU è la stessa del modello 701, ma mentre in quest'ultimo è undercloccata a 630 MHz, nel modello 900 gira alla frequenza nominale di 900 MHz. Il promesso processore Atom sarà impiegato in una futura revisione dell'Eee PC, probabilmente la stessa di cui ieri il blog francese blogeee.net ha svelato le prime foto.
Blogee.net afferma che le foto pubblicate (tra cui quella qui a fianco e quella sotto) appartengono al futuro Eee PC 901. Questa nuova incarnazione del mini notebook di Asus mostra alcune piccole modifiche al design, come le rifiniture metalliche e gli spigoli più arrotondati, e l'integrazione di due microfoni per la stereofonia. Dettaglio interessante, il logo di Asus è sparito per far posto al brand della linea Eee PC.
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5/16/2008
Flash Player 10 è qui, in beta
San Jose (USA) - Flash Player, uno tra i più diffusi plug-in per browser al mondo, sta percorrendo le ultime tappe di quel percorso che, nel corso dell'anno, lo porterà alla versione 10. Versione di cui Adobe ha rilasciato in questi giorni una prima beta pubblica, già disponibile sia per Windows e Mac OS X che per Linux.
Chiamato in codice Astro, Flash Player 10 porta in grembo novità tese soprattutto ad incrementare le possibilità di interazione con i contenuti del Web, ed in modo particolare quelli grafici. Ad esempio, il nuovo player introduce il supporto nativo agli effetti 3D per posizionare, ruotare e animare gli oggetti bidimensionali mantenendo al tempo stesso l'interattività. Oltre a ciò, è in grado di sfruttare l'accelerazione hardware delle GPU per velocizzare la trasformazione e l'animazione degli oggetti grafici 3D e l'applicazione di effetti di trasparenza: l'azienda afferma che questo sgrava la CPU dai compiti più pesanti, lasciando più risorse di calcolo a disposizione degli altri task (rendering 3D, intelligenza artificiale, business logic ecc.) e delle altre applicazioni.
Per la prima volta, Flash Player consente agli sviluppatori di creare filtri ed effetti personalizzati da utilizzare in combinazione a quelli predefiniti. Tali filtri ed effetti possono essere creati con il toolkit Pixel Bender, noto in precedenza come Hydra, anch'esso disponibile nella versione beta e scaricabile gratuitamente.
"Da ora gli sviluppatori potranno creare propri filtri, modi di fusione (blend mode) e riempimento (fill) con Adobe Pixel Bender scrivendo piccole funzioni di pixel-shading i cui parametri possono essere utilizzati per creare effetti animati o per cambiare effetto sui contenuti rich media durante il runtime", spiega Adobe.
Questa caratteristica è resa possibile da un nuovo motore Just In Time (JIT) che, combinando la tecnologia Flash con quella di digital imaging alla base di Adobe After Effects CS3, consente di applicare dei filtri in tempo reale a immagini bitmap, video e animazioni vettoriali.
Flash Player 10 introduce poi un nuovo engine per il layout dei testi che offre maggiore controllo creativo sulle caratteristiche dei font, con funzioni quali anti-alias, rotazione, stili e supporto alle legature dei caratteri. Adobe afferma che le varie opzioni di layout, come verticale, bi-direzionale e da destra a sinistra, permetteranno di creare rich Internet application in più lingue e di distribuire eBook e pubblicazioni online con un più elevato grado di interattività.
Particolarmente apprezzate dagli aficionado di YouTube e affini le nuove funzionalità di streaming video a bitrate variabile, che saranno supportate anche delle future release di Adobe Flash Media Server: queste sono in grado di regolare automaticamente la qualità del video in base alla banda di rete disponibile, minimizzando in questo modo le fastidiose interruzioni necessarie per il rebuffering del video.
Maggiori dettagli sulle novità del nuovo player sono contenute nelle note di rilascio, mentre in questa pagina sono presenti video e demo che mostrano le caratteristiche più importanti di Flash Player 10: per visualizzare i demo è tuttavia necessario installare la versione beta del nuovo plug-in (avendo prima cura di disinstallare ogni precedente versione del player).
Adobe afferma che molte delle nuove funzionalità di Flash Player 10 verranno incluse nelle future versioni di Adobe AIR e dell'Open Screen Project, l'iniziativa con cui la società californiana sta sviluppando un runtime Flash universale da portare su una vasta gamma di dispositivi mobili e consumer.
Tom Barclay, senior product marketing manager di Adobe, afferma che Flash Player 10 è la prima major release di questo software ad arrivare dopo l'acquisizione di Macromedia, originaria sviluppatrice della tecnologia Flash. Flash Player 9 è stato rilasciato nel giugno del 2006, dunque sei mesi dopo la storica fusione tra Adobe e Macromedia: evidentemente, però, Barclay non ritiene tale versione una major release.
L'imminente versione 10 di Flash Player, di cui Adobe non ha ancora rivelato la data di rilascio, avrà l'importante compito di contrastare l'ascesa di tecnologie rivali come Microsoft Silverlight e Sun JavaFX.
Chiamato in codice Astro, Flash Player 10 porta in grembo novità tese soprattutto ad incrementare le possibilità di interazione con i contenuti del Web, ed in modo particolare quelli grafici. Ad esempio, il nuovo player introduce il supporto nativo agli effetti 3D per posizionare, ruotare e animare gli oggetti bidimensionali mantenendo al tempo stesso l'interattività. Oltre a ciò, è in grado di sfruttare l'accelerazione hardware delle GPU per velocizzare la trasformazione e l'animazione degli oggetti grafici 3D e l'applicazione di effetti di trasparenza: l'azienda afferma che questo sgrava la CPU dai compiti più pesanti, lasciando più risorse di calcolo a disposizione degli altri task (rendering 3D, intelligenza artificiale, business logic ecc.) e delle altre applicazioni.
Per la prima volta, Flash Player consente agli sviluppatori di creare filtri ed effetti personalizzati da utilizzare in combinazione a quelli predefiniti. Tali filtri ed effetti possono essere creati con il toolkit Pixel Bender, noto in precedenza come Hydra, anch'esso disponibile nella versione beta e scaricabile gratuitamente.
"Da ora gli sviluppatori potranno creare propri filtri, modi di fusione (blend mode) e riempimento (fill) con Adobe Pixel Bender scrivendo piccole funzioni di pixel-shading i cui parametri possono essere utilizzati per creare effetti animati o per cambiare effetto sui contenuti rich media durante il runtime", spiega Adobe.
Questa caratteristica è resa possibile da un nuovo motore Just In Time (JIT) che, combinando la tecnologia Flash con quella di digital imaging alla base di Adobe After Effects CS3, consente di applicare dei filtri in tempo reale a immagini bitmap, video e animazioni vettoriali.
Flash Player 10 introduce poi un nuovo engine per il layout dei testi che offre maggiore controllo creativo sulle caratteristiche dei font, con funzioni quali anti-alias, rotazione, stili e supporto alle legature dei caratteri. Adobe afferma che le varie opzioni di layout, come verticale, bi-direzionale e da destra a sinistra, permetteranno di creare rich Internet application in più lingue e di distribuire eBook e pubblicazioni online con un più elevato grado di interattività.
Particolarmente apprezzate dagli aficionado di YouTube e affini le nuove funzionalità di streaming video a bitrate variabile, che saranno supportate anche delle future release di Adobe Flash Media Server: queste sono in grado di regolare automaticamente la qualità del video in base alla banda di rete disponibile, minimizzando in questo modo le fastidiose interruzioni necessarie per il rebuffering del video.
Maggiori dettagli sulle novità del nuovo player sono contenute nelle note di rilascio, mentre in questa pagina sono presenti video e demo che mostrano le caratteristiche più importanti di Flash Player 10: per visualizzare i demo è tuttavia necessario installare la versione beta del nuovo plug-in (avendo prima cura di disinstallare ogni precedente versione del player).
Adobe afferma che molte delle nuove funzionalità di Flash Player 10 verranno incluse nelle future versioni di Adobe AIR e dell'Open Screen Project, l'iniziativa con cui la società californiana sta sviluppando un runtime Flash universale da portare su una vasta gamma di dispositivi mobili e consumer.
Tom Barclay, senior product marketing manager di Adobe, afferma che Flash Player 10 è la prima major release di questo software ad arrivare dopo l'acquisizione di Macromedia, originaria sviluppatrice della tecnologia Flash. Flash Player 9 è stato rilasciato nel giugno del 2006, dunque sei mesi dopo la storica fusione tra Adobe e Macromedia: evidentemente, però, Barclay non ritiene tale versione una major release.
L'imminente versione 10 di Flash Player, di cui Adobe non ha ancora rivelato la data di rilascio, avrà l'importante compito di contrastare l'ascesa di tecnologie rivali come Microsoft Silverlight e Sun JavaFX.
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5/16/2008
Phantom-X, un server travestito da notebook
Ottawa - Il primo notebook al mondo di classe server. Così la società canadese Eurocom, specializzata nello sviluppo di laptop "estremi", definisce il suo ultimo modello di super notebook, il Phantom-X D901C.
Nella sua configurazione top, il nuovo Phantom-X si caratterizza per l'adozione di tre hard disk SATA-300 da 500 GB l'uno in configurazione RAID (per una capacità complessiva di 1,5 TB), un processore Xeon quad-core a 2,83 GHz, un display da 17 pollici con risoluzione di 1920 x 1200 pixel, 8 GB di memoria RAM DDR2-800, una scheda grafica DirectX 10 con 1 GB di memoria video e, dulcis in fundo, un masterizzatore Blu-ray 2x. Nel prossimo futuro l'azienda conta di utilizzare Xeon in versione mobile ed estendere la quantità di spazio disco a 3 TB.
Eurocom afferma che il suo nuovo sistema portatile inaugura la categoria dei "mobile server", soluzioni pensate soprattutto per ridurre i costi d'installazione di reti locali temporanee ed estendere l'utilizzo delle applicazioni business ovunque sia necessario. Il principale target, secondo il produttore d'oltreoceano, è rappresentato dagli sviluppatori di database, dai centri di formazione, dal personale militare, dalle organizzazioni di pronto soccorso e, più in generale, da coloro che necessitano di computer molto potenti anche quando sono in trasferta ed operano in zone prive di adeguate infrastrutture di calcolo.
Ovviamente un laptop monster come il Phantom-X D901C non è certo fatto per essere tenuto sulle ginocchia o trasportato in una ventiquattrore: la sua dimensione è di 40,1 x 30,2 x 5,2 centimetri, il suo peso sfiora i 5 chili e mezzo e la sua autonomia non va oltre l'ora di utilizzo continuato. Di fatto, la batteria interna va vista come una fonte d'energia di emergenza, in sostituzione di un gruppo di continuità esterno.
Sul sito di Eurocom è possibile personalizzare quasi ogni aspetto della configurazione hardware dei Phantom-X D90xC, variandone anche drasticamente prezzo e target: basti pensare che nella configurazione base il portatilone costa meno di 2000 euro, mentre in quella top può tranquillamente superare i 10mila bigliettoni.
Tra i molti componenti opzionali si trovano: lettori di impronte digitali, hard disk a stato solido, sintonizzatori TV, accessori per il gioco e software extra. Chi non necessita di un server mobile, dunque, può sempre "costruirsi" un super notebook su misura da dedicare al gioco, alla grafica, alla modellazione 3D, al montaggio video o ad altre applicazioni che richiedono grandi risorse di calcolo.
alle
5/16/2008
TouchWall, il nuovo Surface di Microsoft
Roma - Surface non ha ancora debuttato sul mercato ma i suoi figli sono già pronti a farsi vedere da tutti: al tavolo multi-touch ambasciatore all'eccellenza tecnologica di Microsoft, il big di Redmond ha ora aggiunto qualcosa. Surface, posizionato in verticale e installato a parete, diventa una nuova piattaforma di lavoro, persino migliore della versione precedente perché non costringe ad articolare in maniera errata la colonna vertebrale.
Il Surface da parete si chiama TouchWall, e lo ha presentato William H. Gates III in persona al CEO Summit 2008, probabilmente l'ultimo evento a cui il tecnologo parteciperà in veste di maestro di cerimonia della società. TouchWall è attualmente in piena fase di sviluppo, e i labs Microsoft sono al lavoro per la realizzazione di un prototipo funzionale.
Il demo tecnologico introdotto da Gates ha nondimeno messo in mostra quelle che dovrebbero essere le capacità peculiari del sistema: basato su un hardware composto da laser, luci infrarosse e display "touch" sviluppati da Plex, TouchWall vuole come e più di Surface trasformare profondamente le modalità di interazione tra utente e computer, relegando a un passato ancestrale il "cavernicolo" ossessivo digitare e smanettare su mouse e tastiere consunti dall'usura.
La tecnologia di TouchWall, dice Gates, può "trasformare quasi tutto in una interfaccia multi-touch", e per di più con un costo inferiore rispetto a Surface.
Certo non siamo ancora ai livelli delle interfacce 3D di Minority Report, ma lo stesso Gates si dice convinto che di qui ad alcuni anni tutte le superfici saranno trasformate e trasformabili in pannelli interattivi in grado di accettare input e comandi al semplice tocco delle dita.
Una promessa? Qualcuno maligna ricordando che arriva dalla stessa società che in passato ha propagandato "rivoluzioni" poi abortite come WinFS.
E il mercato? Apprezzerà? Il problema è il costo:: l'ossessione sci-fi per la cucina auto-cucina-lava-asciuga e la parete-computer ben difficilmente si concretizzerà in tempi brevi o anche lunghi, se i prezzi continuano ad assestarsi sui 100mila dollari. Se TouchWall avrà qualcosa di nuovo da dire da questo punto di vista è una possibilità ancora tutta da valutare.
Alfonso Maruccia
Il Surface da parete si chiama TouchWall, e lo ha presentato William H. Gates III in persona al CEO Summit 2008, probabilmente l'ultimo evento a cui il tecnologo parteciperà in veste di maestro di cerimonia della società. TouchWall è attualmente in piena fase di sviluppo, e i labs Microsoft sono al lavoro per la realizzazione di un prototipo funzionale.
Il demo tecnologico introdotto da Gates ha nondimeno messo in mostra quelle che dovrebbero essere le capacità peculiari del sistema: basato su un hardware composto da laser, luci infrarosse e display "touch" sviluppati da Plex, TouchWall vuole come e più di Surface trasformare profondamente le modalità di interazione tra utente e computer, relegando a un passato ancestrale il "cavernicolo" ossessivo digitare e smanettare su mouse e tastiere consunti dall'usura.
La tecnologia di TouchWall, dice Gates, può "trasformare quasi tutto in una interfaccia multi-touch", e per di più con un costo inferiore rispetto a Surface.
Certo non siamo ancora ai livelli delle interfacce 3D di Minority Report, ma lo stesso Gates si dice convinto che di qui ad alcuni anni tutte le superfici saranno trasformate e trasformabili in pannelli interattivi in grado di accettare input e comandi al semplice tocco delle dita.
Una promessa? Qualcuno maligna ricordando che arriva dalla stessa società che in passato ha propagandato "rivoluzioni" poi abortite come WinFS.
E il mercato? Apprezzerà? Il problema è il costo:: l'ossessione sci-fi per la cucina auto-cucina-lava-asciuga e la parete-computer ben difficilmente si concretizzerà in tempi brevi o anche lunghi, se i prezzi continuano ad assestarsi sui 100mila dollari. Se TouchWall avrà qualcosa di nuovo da dire da questo punto di vista è una possibilità ancora tutta da valutare.
Alfonso Maruccia
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5/16/2008
Calcio, i robot romani conquistano la coppa
Roma - I-ta-lia! I-ta-lia! Rimbombano, le voci della folla di ragazzi accalcati nella sala Protomoteca del Campidoglio in occasione del trofeo robotico RomeCup 2008. Al centro, un campo di calcio su scala ridotta; i protagonisti, sei robocani che rincorrono un pallone.
Si incagliano, scuotono il muso metallico, si accucciano. Il clima è effervescente. Un Aibo con la corazza azzurra, il robocane Sony della squadra romana Soccer Player Quadruped Robots, SPQR, si conquista il pallone, lo strappa al robocane dell'università di Istanbul. Si smarca, porta avanti la sfera proteggendola con le zampe anteriori, solca sicuro il campo. Gli avversari sono disorientati: agitano il muso, lo sguardo di led smarrito. Il robocane della squadra italiana si avvicina alla porta e si libera del pallone con un elegante colpo di muso.
Goal. Il pubblico si sbraccia, ragazzini di ogni età additano il robocane di turno che si esibisce in una mossa buffa. L'Italia si è conquistata per il secondo anno consecutivo la partita, e sono i robot a conquistare. Il torneo che il team romano si è aggiudicato non è che uno degli eventi dalla RomeCup 2008, organizzati dalla Fondazione Mondo Digitale e pensati per promuovere "la formazione del XXI secolo". Così la definisce il professor Alfonso Molina, direttore scientifico della Fondazione, docente dell'Università di Edimburgo e appassionato sostenitore dell'introduzione della robotica nel percorso scolastico dei più giovani.
Punto Informatico ha fatto una chiacchierata con i ragazzi vincitori della RomeCup, studenti del dipartimento di Informatica e Sistemistica della Sapienza di Roma: partiranno per la Cina, destinazione Suzhou, per affrontare le squadre di mezzo mondo nella RoboCup 2008. Competeranno nella categoria Standard Platform Robot League: dato l'hardware, sono loro ad imbracciare C++ per programmare Aibo, programmare l'umanoide NAO, per insegnare ai robot il gioco del pallone.
I robot della squadra italiana hanno una strategia, spiegano a Punto Informatico i membri del team SPQR: non si accalcano sulla sfera, mantengono la posizione, tentano di coprire tutte le aree del campo. Le tattiche di gioco sono da ricondurre all'abilità dei programmatori. C'è chi si occupa della locomozione, di impartire ai robot le istruzioni relative alla postura e al movimento, c'è chi si occupa di studiare e programmare il versante percettivo dell'Aibo.
La visione, spiega il ricercatore e coordinatore della squadra Matteo Leonetti, è l'unico senso tradizionale a disposizione dei robot: "Hanno una visione limitatissima, un angolo visivo molto stretto, vedono pochissime cose per volta, nonostante ciò riescono a capire dov'è la palla, dov'è la porta che devono attaccare". Per aiutare i robot ad orientarsi nelle loro azioni autonome, i segnali sono codificati in maniera precisa: palle arancioni, porte di colore diverso, cilindri a metà campo come punto di riferimento. Ma quello che aiuta i robot a prendere decisioni, a interagire autonomamente con la realtà è il fatto che sono in un certo senso e per alcuni aspetti autocoscienti: "Paragonano quello che si aspettano con quello che vedono", spiega Matteo. Fondendo i dati percepiti e i dati relativi alle aspettative e al vissuto "il robot crea una rappresentazione di quello che è in grado di capire sul mondo, di quello che lui crede sia vero intorno a lui".
La squadra italiana non sarebbe la stessa senza il gioco di squadra: i robot comunicano e si coordinano attraverso una rete wireless. Non si scagliano tutti sulla palla, ma si dispongono in base alle informazioni che ricavano sul campo e sulla palla: si autoassegnano il ruolo di attaccante e difensore, si dispongono in fila, l'uno avanza verso la porta avversaria, l'altro retrocede per difendere lo spazio.
Ma è un gioco di squadra anche quello dei ragazzi del team romano: il fulcro di SPQR è il laboratorio del dipartimento. È affollato di ragazzi come Matteo, ora ricercatore, da tre anni attivo per la Robocup, e di ragazzi che vi trascorrono il periodo della tesi o della tesina. Ogni anno si affinano le abilità dei robot, ogni anno le regole della competizione si complicano: i punti di riferimento presenti sul campo si assottigliano, dagli Aibo si passa alla sfida fra umanoidi come NAO. Si veleggia verso il 2050, momento in cui ci si aspetta di assistere ad una Robocup a cui parteciperanno robot capaci di giocare una vera e propria partita di calcio.
Ma i ragazzi non vedono nel calcio il futuro delle loro creazioni: sognano robot completamente indipendenti dall'uomo, non teleguidati, capaci di sostituirsi all'uomo nei compiti più pericolosi, nelle missioni più impervie.
Ci lavoreranno i ragazzi del dipartimento di Informatica e Sistemistica dell'ateneo romano, ci lavoreranno i 250 giovani studenti che si sono affollati alla RomeCup. Serissimi a tratti, scalmanati nell'esultanza, si stupiscono degli Aibo e sognano di addestrarne uno. Ieri si sono sfidati con i loro robottini nelle competizioni più disparate: hanno assemblato i loro rappresentanti robotici e li hanno programmati affinché si districassero fra labirinti, riconoscessero fonti di luce e di gas, lottassero per spingere gli avversari fuori da un ring, danzassero sulle note di Strauss.
Alcune delle scuole che hanno partecipato e che hanno esposto i propri progetti aderiscono al programma Robodidattica, finanziato dalla Commissione Europea e coordinato dalla Fondazione Mondo Digitale, spiega a Punto Informatico il dottor Romano Santoro, supervisore del progetto nell'ambito delle scuole romane: i docenti che hanno avviato la sperimentazione ritengono che la robotica nelle scuole possa instillare nei ragazzi la passione per le discipline scientifiche.
La robotica, illustra il professor Alfonso Molina, consente di sviluppare abilità stratificate. Dalla collaborazione in squadra alla comprensione degli schemi concettuali della matematica e della fisica, prima di giungere alla programmazione vera e propria: "Il robot - chiosa Molina - è un ambiente che permette di pensare e di fare tante cose a diversi livelli". Gli insegnanti che partecipano e che parteciperanno a Robodidattica sono guidati e stimolati da manuali didattici gratuiti e collaborativi, da corsi di formazione, da kit per costruire robottini. Ragazzi e docenti vengono catturati dall'aspetto ludico e dalla possibilità di agire sui robot, dalla capacità di riscontrare sulle macchine quello che si apprende e si insegna, dalla possibilità di manipolare i robottini insieme a dei concetti. La sfida della Rome Cup è anche questa: sviluppare una metodologia e dei percorsi per studenti e insegnanti per rivoluzionare il sistema educativo e adeguarlo al XXI secolo.
a cura di Gaia Bottà
Si incagliano, scuotono il muso metallico, si accucciano. Il clima è effervescente. Un Aibo con la corazza azzurra, il robocane Sony della squadra romana Soccer Player Quadruped Robots, SPQR, si conquista il pallone, lo strappa al robocane dell'università di Istanbul. Si smarca, porta avanti la sfera proteggendola con le zampe anteriori, solca sicuro il campo. Gli avversari sono disorientati: agitano il muso, lo sguardo di led smarrito. Il robocane della squadra italiana si avvicina alla porta e si libera del pallone con un elegante colpo di muso.
Goal. Il pubblico si sbraccia, ragazzini di ogni età additano il robocane di turno che si esibisce in una mossa buffa. L'Italia si è conquistata per il secondo anno consecutivo la partita, e sono i robot a conquistare. Il torneo che il team romano si è aggiudicato non è che uno degli eventi dalla RomeCup 2008, organizzati dalla Fondazione Mondo Digitale e pensati per promuovere "la formazione del XXI secolo". Così la definisce il professor Alfonso Molina, direttore scientifico della Fondazione, docente dell'Università di Edimburgo e appassionato sostenitore dell'introduzione della robotica nel percorso scolastico dei più giovani.
Punto Informatico ha fatto una chiacchierata con i ragazzi vincitori della RomeCup, studenti del dipartimento di Informatica e Sistemistica della Sapienza di Roma: partiranno per la Cina, destinazione Suzhou, per affrontare le squadre di mezzo mondo nella RoboCup 2008. Competeranno nella categoria Standard Platform Robot League: dato l'hardware, sono loro ad imbracciare C++ per programmare Aibo, programmare l'umanoide NAO, per insegnare ai robot il gioco del pallone.
I robot della squadra italiana hanno una strategia, spiegano a Punto Informatico i membri del team SPQR: non si accalcano sulla sfera, mantengono la posizione, tentano di coprire tutte le aree del campo. Le tattiche di gioco sono da ricondurre all'abilità dei programmatori. C'è chi si occupa della locomozione, di impartire ai robot le istruzioni relative alla postura e al movimento, c'è chi si occupa di studiare e programmare il versante percettivo dell'Aibo.
La visione, spiega il ricercatore e coordinatore della squadra Matteo Leonetti, è l'unico senso tradizionale a disposizione dei robot: "Hanno una visione limitatissima, un angolo visivo molto stretto, vedono pochissime cose per volta, nonostante ciò riescono a capire dov'è la palla, dov'è la porta che devono attaccare". Per aiutare i robot ad orientarsi nelle loro azioni autonome, i segnali sono codificati in maniera precisa: palle arancioni, porte di colore diverso, cilindri a metà campo come punto di riferimento. Ma quello che aiuta i robot a prendere decisioni, a interagire autonomamente con la realtà è il fatto che sono in un certo senso e per alcuni aspetti autocoscienti: "Paragonano quello che si aspettano con quello che vedono", spiega Matteo. Fondendo i dati percepiti e i dati relativi alle aspettative e al vissuto "il robot crea una rappresentazione di quello che è in grado di capire sul mondo, di quello che lui crede sia vero intorno a lui".
La squadra italiana non sarebbe la stessa senza il gioco di squadra: i robot comunicano e si coordinano attraverso una rete wireless. Non si scagliano tutti sulla palla, ma si dispongono in base alle informazioni che ricavano sul campo e sulla palla: si autoassegnano il ruolo di attaccante e difensore, si dispongono in fila, l'uno avanza verso la porta avversaria, l'altro retrocede per difendere lo spazio.
Ma è un gioco di squadra anche quello dei ragazzi del team romano: il fulcro di SPQR è il laboratorio del dipartimento. È affollato di ragazzi come Matteo, ora ricercatore, da tre anni attivo per la Robocup, e di ragazzi che vi trascorrono il periodo della tesi o della tesina. Ogni anno si affinano le abilità dei robot, ogni anno le regole della competizione si complicano: i punti di riferimento presenti sul campo si assottigliano, dagli Aibo si passa alla sfida fra umanoidi come NAO. Si veleggia verso il 2050, momento in cui ci si aspetta di assistere ad una Robocup a cui parteciperanno robot capaci di giocare una vera e propria partita di calcio.
Ma i ragazzi non vedono nel calcio il futuro delle loro creazioni: sognano robot completamente indipendenti dall'uomo, non teleguidati, capaci di sostituirsi all'uomo nei compiti più pericolosi, nelle missioni più impervie.
Ci lavoreranno i ragazzi del dipartimento di Informatica e Sistemistica dell'ateneo romano, ci lavoreranno i 250 giovani studenti che si sono affollati alla RomeCup. Serissimi a tratti, scalmanati nell'esultanza, si stupiscono degli Aibo e sognano di addestrarne uno. Ieri si sono sfidati con i loro robottini nelle competizioni più disparate: hanno assemblato i loro rappresentanti robotici e li hanno programmati affinché si districassero fra labirinti, riconoscessero fonti di luce e di gas, lottassero per spingere gli avversari fuori da un ring, danzassero sulle note di Strauss.
Alcune delle scuole che hanno partecipato e che hanno esposto i propri progetti aderiscono al programma Robodidattica, finanziato dalla Commissione Europea e coordinato dalla Fondazione Mondo Digitale, spiega a Punto Informatico il dottor Romano Santoro, supervisore del progetto nell'ambito delle scuole romane: i docenti che hanno avviato la sperimentazione ritengono che la robotica nelle scuole possa instillare nei ragazzi la passione per le discipline scientifiche.
La robotica, illustra il professor Alfonso Molina, consente di sviluppare abilità stratificate. Dalla collaborazione in squadra alla comprensione degli schemi concettuali della matematica e della fisica, prima di giungere alla programmazione vera e propria: "Il robot - chiosa Molina - è un ambiente che permette di pensare e di fare tante cose a diversi livelli". Gli insegnanti che partecipano e che parteciperanno a Robodidattica sono guidati e stimolati da manuali didattici gratuiti e collaborativi, da corsi di formazione, da kit per costruire robottini. Ragazzi e docenti vengono catturati dall'aspetto ludico e dalla possibilità di agire sui robot, dalla capacità di riscontrare sulle macchine quello che si apprende e si insegna, dalla possibilità di manipolare i robottini insieme a dei concetti. La sfida della Rome Cup è anche questa: sviluppare una metodologia e dei percorsi per studenti e insegnanti per rivoluzionare il sistema educativo e adeguarlo al XXI secolo.
a cura di Gaia Bottà
alle
5/16/2008
Download/ Telescopicamente virtual
Dalla terra alla luna... e poi all'universo. Nella guerra ai regali, alla filantropia estrema tra Google e Microsoft, ecco che quest'ultima propone lo spettacolare WorldWide Telescope: un programma che è un vero "Telescopio virtuale da desktop".
Consente di vivere l'esperienza dell'esplorazione dello spazio profondo che tanti amanti dell'astronomia e altri addetti ai lavori hanno provato con i loro telescopi più o meno potenti. Per andare (con lo sguardo) là dove nessun uomo è giunto prima d'ora? Eh no, ci sono giunti sicuramente altri, prima: infatti i 12 terabyte di contenuti di alta qualità ai quali è possibile accedere via WorldWide Telescope provengono da telescopi spaziali, satelliti, comunità scientifiche e svariate altre fonti di immagini dell'universo.
Pronti al download? Innanzitutto è bene essere pronti ai minimi requisiti richiesti: processori nerboruti, tanta RAM, minimo Windows XP SP2, Vista consigliato, necessario.NET 2.0 e DirectX 9.0c... da scaricare se non già presenti. Il programma in sé è un download da 20 mega circa, che diventano inizialmente circa 68 su disco. Su sistemi non superperformanti potrebbe metterci un po' a partire: calma e gesso, per andare al telescopio Hubble ci vuole parecchio di più.
L'interfaccia visuale e il sito web sono ovviamente "spaziali" nelle atmosfere grafiche (e sonore, nel caso del sito...), un po' hi-tech/plasticoso-trasparenti/dark. Attualmente è tutto solamente in inglese. Nella barra superiore sono presenti dei grossi tasti che possono essere "premuti" in due punti: selezionando direttamente il loro contenuto oppure, nella sezione inferiore del tasto, accedendo ad un menù.
In WorldWide Telescope è possibile muoversi attraverso diverse aree, come le "collezioni" (costellazioni, il sistema solare, le immagini di Hubble, Chandra, Spitzer, diversi studi, stelle, il Catalogo di Messier e le proprie collezioni personalizzate), scegliere se guardare il cielo, la Terra, i pianeti, panorami, il tutto con svariate sottocategorie e naturalmente... mouse alla mano: rotella, click e trascinare sia col tasto sinistro che con il tasto centrale (la rotella), click con il destro... zoom, spostamenti panoramici, informazioni su pianeti, stelle, galassie, nebulose... a mano a mano che ci si addentra nello spazio profondo (e mentre la qualità delle immagini aumenta caricando da internet, come su Google Earth), in basso appaiono immagini che si riferiscono ad oggetti di interesse per quel "livello di profondità". È possibile cliccare sulle immagini per correre direttamente verso questi oggetti noti, con movimento fluido oppure anche qui click con il tasto destro per accedere ad altre possibilità.
Esplorare per collezioni non è l'unica via: ci sono anche i tour guidati, talvolta con tanto di audio, che portano a fare la conoscenza di WorldWide Telescope stesso (per gli amici WWT), delle nebulose e delle galassie, dei buchi neri, delle supernove, settori stellari, eventi cosmici, la cosmologia... È inoltre possibile utilizzare la funzione di ricerca testuale "Simbad", nonché accedere (dopo averla installata, sono 5 mega) alla piattaforma ASCOM per controllare un telescopio.
L'esplorazione dello spazio con WWT va preceduta e accompagnata da quella di WWT stesso e del sito ad esso dedicato. E allora... Eye to the telescope! (G.Fornasar)
Microsoft WorldWide Telescope
Consente di vivere l'esperienza dell'esplorazione dello spazio profondo che tanti amanti dell'astronomia e altri addetti ai lavori hanno provato con i loro telescopi più o meno potenti. Per andare (con lo sguardo) là dove nessun uomo è giunto prima d'ora? Eh no, ci sono giunti sicuramente altri, prima: infatti i 12 terabyte di contenuti di alta qualità ai quali è possibile accedere via WorldWide Telescope provengono da telescopi spaziali, satelliti, comunità scientifiche e svariate altre fonti di immagini dell'universo.
Pronti al download? Innanzitutto è bene essere pronti ai minimi requisiti richiesti: processori nerboruti, tanta RAM, minimo Windows XP SP2, Vista consigliato, necessario.NET 2.0 e DirectX 9.0c... da scaricare se non già presenti. Il programma in sé è un download da 20 mega circa, che diventano inizialmente circa 68 su disco. Su sistemi non superperformanti potrebbe metterci un po' a partire: calma e gesso, per andare al telescopio Hubble ci vuole parecchio di più.
L'interfaccia visuale e il sito web sono ovviamente "spaziali" nelle atmosfere grafiche (e sonore, nel caso del sito...), un po' hi-tech/plasticoso-trasparenti/dark. Attualmente è tutto solamente in inglese. Nella barra superiore sono presenti dei grossi tasti che possono essere "premuti" in due punti: selezionando direttamente il loro contenuto oppure, nella sezione inferiore del tasto, accedendo ad un menù.
In WorldWide Telescope è possibile muoversi attraverso diverse aree, come le "collezioni" (costellazioni, il sistema solare, le immagini di Hubble, Chandra, Spitzer, diversi studi, stelle, il Catalogo di Messier e le proprie collezioni personalizzate), scegliere se guardare il cielo, la Terra, i pianeti, panorami, il tutto con svariate sottocategorie e naturalmente... mouse alla mano: rotella, click e trascinare sia col tasto sinistro che con il tasto centrale (la rotella), click con il destro... zoom, spostamenti panoramici, informazioni su pianeti, stelle, galassie, nebulose... a mano a mano che ci si addentra nello spazio profondo (e mentre la qualità delle immagini aumenta caricando da internet, come su Google Earth), in basso appaiono immagini che si riferiscono ad oggetti di interesse per quel "livello di profondità". È possibile cliccare sulle immagini per correre direttamente verso questi oggetti noti, con movimento fluido oppure anche qui click con il tasto destro per accedere ad altre possibilità.
Esplorare per collezioni non è l'unica via: ci sono anche i tour guidati, talvolta con tanto di audio, che portano a fare la conoscenza di WorldWide Telescope stesso (per gli amici WWT), delle nebulose e delle galassie, dei buchi neri, delle supernove, settori stellari, eventi cosmici, la cosmologia... È inoltre possibile utilizzare la funzione di ricerca testuale "Simbad", nonché accedere (dopo averla installata, sono 5 mega) alla piattaforma ASCOM per controllare un telescopio.
L'esplorazione dello spazio con WWT va preceduta e accompagnata da quella di WWT stesso e del sito ad esso dedicato. E allora... Eye to the telescope! (G.Fornasar)
Microsoft WorldWide Telescope
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5/16/2008
Brevetti software, l'Europa ci (ri)pensa
Roma - Sta suscitando allarme quanto denunciato in questi giorni da Foundation for a Free Information Infrastructure - FFII: gli Stati Uniti stanno premendo sull'Unione Europea affinché si infonda nuova vita alla brevettabilità del software in Europa. Le grandi corporation della tecnologia americane soffrono della posizione comunitaria e chiedono che la UE, come già gli USA, si lanci sulla via del brevetto facile. Una richiesta che l'Europa ha già iniziato ad accettare.
Lo spiega nel suo alert internazionale proprio FFII, una voce ascoltata perché fu proprio il suo attivismo a mobilitare negli anni scorsi mezza Europa e a portare, contro ogni pronostico, alla bocciatura della brevettabilità del software nella UE. È dunque ovvio che se FFII parla di progressi per un accordo sui brevetti tra le due sponde dell'Atlantico l'attenzione di tutti non possa che risvegliarsi, tanto più che da molto tempo la Commissione Europea ha dato segni di disponibilità a riaprire il fronte dei brevetti sull'innovazione.
L'interesse degli Stati Uniti è certificato dalle proposte dell'amministrazione Bush per una migliore cooperazione economica tra USA e UE: tra queste, in materia di proprietà intellettuale, si afferma che le parti "debbano perseguire l'armonizzazione delle diverse normative sui brevetti". Dichiarazione dalle chiare conseguenze, visto anche che una delle maggiori diversità tra i due sistemi, e quella più rilevante sotto il profilo industriale dal punto di vista delle corporation nordamericane del software, è proprio quella che riguarda l'innovazione tecnologica. Il settore tecnologico è più rilevante di qualsiasi altro nell'economia statunitense, la sua centralità è assoluta.
Dunque, proprio in questi giorni molte cose vengono decise: al riparo dei riflettori si sono appena tenuti gli incontri primaverili di un organismo nato da un anno e voluto da USA e UE per stringere i propri rapporti, in particolare sotto il profilo normativo ed economico. Si chiama Transatlantic Economic Council (TEC) e all'ordine del giorno dei negoziati non casualmente è stata posta proprio l'armonizzazione delle leggi sui brevetti, con una particolare richiesta, quella di raggiungere un accordo sulla roadmap, ossia sui tempi necessari perché questa "armonizzazione" prenda corpo. E pur essendo ovvio, l'interesse delle grandi corporation è anch'esso certificato. Lo dimostrano le indicazioni giunte proprio al TEC dal TABD, il Trans Atlantic Business Dialogue, che insiste sulla necessità di arrivare ad un accordo per l'armonizzazione. Al TABD, organismo formato da imprese USA e UE, partecipano tra gli altri EDS, Microsoft, Philips, Siemens e British Telecom.
Poiché non vi è segno alcuno che la politica statunitense miri all'abolizione della brevettabilità del software, nel termine armonizzazione FFII non ha potuto che leggervi il ritorno del rischio brevetti. E sembra aver visto lungo. Nello statement conclusivo del meeting primaverile del TEC si legge che "l'Ufficio dei brevetti e dei marchi statunitensi e la Commissione Europea hanno concordato una roadmap per portare avanti una armonizzazione globale del sistema dei brevetti". Come nota FFII, l'eventuale imposizione all'Europa degli standard statunitensi sui brevetti non può che trasformarsi in una riduzione degli standard di brevettabilità che sono oggi il riferimento della UE. I dettagli specifici della roadmap non sono ancora stati pubblicati.
A far parlare però è anche la vecchia bozza di trattato e il motivo è ovvio: laddove si citano le condizioni di brevettabilità un comma è omesso in quanto "riservato" e in un altro si legge che "una invenzione di cui si chiede il brevetto dovrà comprendere un passo innovativo. Sarà considerato tale se (...) l'invenzione nel suo insieme non risulterà ovvia (non innovativa, ndr.) (...)". La dicitura nel suo insieme ricorda vecchie proposte sui brevetti e preoccupa FFII: "Come abbiamo già spiegato in passato, la frase (...) è alquanto ambigua in questo contesto. La ragione è che quando si detiene un brevetto sul software, quasi sempre si rivendica il brevetto come computer sul quale gira il nuovo algoritmo...". Mescolare le due cose è pericoloso, ed erode l'attuale status del software in Europa.
Quanto sta avvenendo in sede TEC preoccupa anche per altre ragioni, avverte FFII. Al contrario della lunga procedura che ha cancellato negli anni scorsi la brevettabilità del software in Europa, il TEC non è il Parlamento Europeo, non deve muoversi sotto i riflettori della stampa, non ha un elettorato a cui rispondere. È invece costituito da incontri tra funzionari di alto livello statunitensi ed europei all'interno di un processo chiuso che si muove al di fuori dei trattati multilaterali che governano il WIPO, l'Organizzazione mondiale della proprietà intellettuale. D'altra parte è lo stesso WIPO a incoraggiare "progressi esterni" all'organizzazione quando si viene ai brevetti. "La maggiore differenza - spiega FFII - è che il TEC è un dialogo commerciale. L'uso di incontri sul libero scambio commerciale per modificare le norme sui brevetti ha peraltro dei precedenti. Durante i negoziati del GATT gli Stati Uniti hanno manipolato un processo di apertura e libero scambio per ricattare partner commerciali affinché accettassero i trattati TRIPs, che limitavano la flessibilità delle normative nazionali sui brevetti". Con il TEC, al contrario di quanto avviene in sede WIPO, inoltre, USA e UE non devono fare i conti con soggetti come Cina, India e Brasile, paesi che non sono disponibili ad un rafforzamento generale della brevettazione.
Il quadro sembra chiaro: se gli Stati Uniti riusciranno nel colpaccio di far aderire l'Europa ai loro standard brevettuali, fino ad estendere finalmente anche al Vecchio Continente la brevettabilità del software, sarà poi molto più facile per la diplomazia commerciale statunitense fare pressioni anche in altre aree del mondo, su mercati nei quali oggi la grande industria statunitense, a partire da quella tecnologica, non riesce a far valere tutti i propri brevetti, compresi quelli sugli algoritmi e sui mattoni costitutivi del software. Chi ha voglia di dare un'occhiata a una manciata di brevetti di questo genere può approfondire a questo indirizzo, una pagina curata come sempre da FFII.
Lo spiega nel suo alert internazionale proprio FFII, una voce ascoltata perché fu proprio il suo attivismo a mobilitare negli anni scorsi mezza Europa e a portare, contro ogni pronostico, alla bocciatura della brevettabilità del software nella UE. È dunque ovvio che se FFII parla di progressi per un accordo sui brevetti tra le due sponde dell'Atlantico l'attenzione di tutti non possa che risvegliarsi, tanto più che da molto tempo la Commissione Europea ha dato segni di disponibilità a riaprire il fronte dei brevetti sull'innovazione.
L'interesse degli Stati Uniti è certificato dalle proposte dell'amministrazione Bush per una migliore cooperazione economica tra USA e UE: tra queste, in materia di proprietà intellettuale, si afferma che le parti "debbano perseguire l'armonizzazione delle diverse normative sui brevetti". Dichiarazione dalle chiare conseguenze, visto anche che una delle maggiori diversità tra i due sistemi, e quella più rilevante sotto il profilo industriale dal punto di vista delle corporation nordamericane del software, è proprio quella che riguarda l'innovazione tecnologica. Il settore tecnologico è più rilevante di qualsiasi altro nell'economia statunitense, la sua centralità è assoluta.
Dunque, proprio in questi giorni molte cose vengono decise: al riparo dei riflettori si sono appena tenuti gli incontri primaverili di un organismo nato da un anno e voluto da USA e UE per stringere i propri rapporti, in particolare sotto il profilo normativo ed economico. Si chiama Transatlantic Economic Council (TEC) e all'ordine del giorno dei negoziati non casualmente è stata posta proprio l'armonizzazione delle leggi sui brevetti, con una particolare richiesta, quella di raggiungere un accordo sulla roadmap, ossia sui tempi necessari perché questa "armonizzazione" prenda corpo. E pur essendo ovvio, l'interesse delle grandi corporation è anch'esso certificato. Lo dimostrano le indicazioni giunte proprio al TEC dal TABD, il Trans Atlantic Business Dialogue, che insiste sulla necessità di arrivare ad un accordo per l'armonizzazione. Al TABD, organismo formato da imprese USA e UE, partecipano tra gli altri EDS, Microsoft, Philips, Siemens e British Telecom.
Poiché non vi è segno alcuno che la politica statunitense miri all'abolizione della brevettabilità del software, nel termine armonizzazione FFII non ha potuto che leggervi il ritorno del rischio brevetti. E sembra aver visto lungo. Nello statement conclusivo del meeting primaverile del TEC si legge che "l'Ufficio dei brevetti e dei marchi statunitensi e la Commissione Europea hanno concordato una roadmap per portare avanti una armonizzazione globale del sistema dei brevetti". Come nota FFII, l'eventuale imposizione all'Europa degli standard statunitensi sui brevetti non può che trasformarsi in una riduzione degli standard di brevettabilità che sono oggi il riferimento della UE. I dettagli specifici della roadmap non sono ancora stati pubblicati.
A far parlare però è anche la vecchia bozza di trattato e il motivo è ovvio: laddove si citano le condizioni di brevettabilità un comma è omesso in quanto "riservato" e in un altro si legge che "una invenzione di cui si chiede il brevetto dovrà comprendere un passo innovativo. Sarà considerato tale se (...) l'invenzione nel suo insieme non risulterà ovvia (non innovativa, ndr.) (...)". La dicitura nel suo insieme ricorda vecchie proposte sui brevetti e preoccupa FFII: "Come abbiamo già spiegato in passato, la frase (...) è alquanto ambigua in questo contesto. La ragione è che quando si detiene un brevetto sul software, quasi sempre si rivendica il brevetto come computer sul quale gira il nuovo algoritmo...". Mescolare le due cose è pericoloso, ed erode l'attuale status del software in Europa.
Quanto sta avvenendo in sede TEC preoccupa anche per altre ragioni, avverte FFII. Al contrario della lunga procedura che ha cancellato negli anni scorsi la brevettabilità del software in Europa, il TEC non è il Parlamento Europeo, non deve muoversi sotto i riflettori della stampa, non ha un elettorato a cui rispondere. È invece costituito da incontri tra funzionari di alto livello statunitensi ed europei all'interno di un processo chiuso che si muove al di fuori dei trattati multilaterali che governano il WIPO, l'Organizzazione mondiale della proprietà intellettuale. D'altra parte è lo stesso WIPO a incoraggiare "progressi esterni" all'organizzazione quando si viene ai brevetti. "La maggiore differenza - spiega FFII - è che il TEC è un dialogo commerciale. L'uso di incontri sul libero scambio commerciale per modificare le norme sui brevetti ha peraltro dei precedenti. Durante i negoziati del GATT gli Stati Uniti hanno manipolato un processo di apertura e libero scambio per ricattare partner commerciali affinché accettassero i trattati TRIPs, che limitavano la flessibilità delle normative nazionali sui brevetti". Con il TEC, al contrario di quanto avviene in sede WIPO, inoltre, USA e UE non devono fare i conti con soggetti come Cina, India e Brasile, paesi che non sono disponibili ad un rafforzamento generale della brevettazione.
Il quadro sembra chiaro: se gli Stati Uniti riusciranno nel colpaccio di far aderire l'Europa ai loro standard brevettuali, fino ad estendere finalmente anche al Vecchio Continente la brevettabilità del software, sarà poi molto più facile per la diplomazia commerciale statunitense fare pressioni anche in altre aree del mondo, su mercati nei quali oggi la grande industria statunitense, a partire da quella tecnologica, non riesce a far valere tutti i propri brevetti, compresi quelli sugli algoritmi e sui mattoni costitutivi del software. Chi ha voglia di dare un'occhiata a una manciata di brevetti di questo genere può approfondire a questo indirizzo, una pagina curata come sempre da FFII.
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5/16/2008
Software, diminuisce la pirateria
La Nato creerà un centro anti-cybercrime in Estonia
Cala la pirateria del software in Italia. Secondo uno studio commissionato da Bsa (Business software alliance) a Idc,
nel nostro Paese si registra un calo del 2 per cento.
Ciò significa che per il secondo anno di seguito in Italia si assiste a una contrazione nell'imbarazzante tasso
d'illegalità che affligge il nostro mercato che, lo ricordiamo, era stimato al 53% nel 2005, al 51% nel 2006,
e scende al 49% nei dati relativi all'anno solare 2007 appena forniti da IDC.
Rimangono tuttavia molto elevate le perdite subite dall'industria del software commerciale a seguito dell'illecita duplicazione,
diffusione e utilizzo del software al di fuori dei regolari contratti di licenza: anzi, avendo il comparto del software registrato
positivi indici di sviluppo nell'anno passato, in realtà le perdite risultano crescenti in valore assoluto: dai 907 milioni
circa del 2006 si passa infatti ai 1.150 milioni di euro nel 2007. È questo il motivo per cui assistiamo a perdite crescenti
a valore, a fronte di un calo in percentuale della pirateria, anche a livello di media complessiva dell'Europa Occidentale,
dal 34% del 2006 al 33% del 2007.
Va detto che non esiste, e non è dimostrata, una correlazione diretta tra software non venduto e copia pirata.
Non è infatti detto che un programma scaricato illegalmente sarebbe stato comunque acquistato.
Dall'attuale ricerca sulla pirateria a livello globale, invece risulta che – a fronte di un tasso medio d'illegalità pari al 33%
nell'Europa Occidentale – i Paesi caratterizzati dalle percentuali più elevate sono stati la Grecia (58%), Cipro (50%) e,
subito dopo l'Italia (49%), l'Islanda con il 48% (anche se su dimensioni di mercato complessive assai inferiori rispetto
alle nostre). Fra le nazioni più "virtuose", si nota altresì che Austria, Belgio, Danimarca, Finlandia, Svezia e Svizzera
condividono tutte un "invidiabile" 25%, ben 8 punti al di sotto della media regionale.
La media a livello mondiale, invece, risulta accresciuta di ben 3 punti – dal 35% del 2006 al 38% del 2007 –
a causa degli elevati tassi di sviluppo che il settore ICT registra nei Paesi di recente sviluppo: ad esempio, la Russia (73%),
la Cina (82%), l'India (69%) e le nazioni delle aree geografiche relative a questi nuovi grandi mercati, tutte generalmente
assestate su percentuali d'illegalità nell'utilizzo del software elevatissime.
ARTICOLO PRESO DA "SOLE 24 ORE"
Cala la pirateria del software in Italia. Secondo uno studio commissionato da Bsa (Business software alliance) a Idc,
nel nostro Paese si registra un calo del 2 per cento.
Ciò significa che per il secondo anno di seguito in Italia si assiste a una contrazione nell'imbarazzante tasso
d'illegalità che affligge il nostro mercato che, lo ricordiamo, era stimato al 53% nel 2005, al 51% nel 2006,
e scende al 49% nei dati relativi all'anno solare 2007 appena forniti da IDC.
Rimangono tuttavia molto elevate le perdite subite dall'industria del software commerciale a seguito dell'illecita duplicazione,
diffusione e utilizzo del software al di fuori dei regolari contratti di licenza: anzi, avendo il comparto del software registrato
positivi indici di sviluppo nell'anno passato, in realtà le perdite risultano crescenti in valore assoluto: dai 907 milioni
circa del 2006 si passa infatti ai 1.150 milioni di euro nel 2007. È questo il motivo per cui assistiamo a perdite crescenti
a valore, a fronte di un calo in percentuale della pirateria, anche a livello di media complessiva dell'Europa Occidentale,
dal 34% del 2006 al 33% del 2007.
Va detto che non esiste, e non è dimostrata, una correlazione diretta tra software non venduto e copia pirata.
Non è infatti detto che un programma scaricato illegalmente sarebbe stato comunque acquistato.
Dall'attuale ricerca sulla pirateria a livello globale, invece risulta che – a fronte di un tasso medio d'illegalità pari al 33%
nell'Europa Occidentale – i Paesi caratterizzati dalle percentuali più elevate sono stati la Grecia (58%), Cipro (50%) e,
subito dopo l'Italia (49%), l'Islanda con il 48% (anche se su dimensioni di mercato complessive assai inferiori rispetto
alle nostre). Fra le nazioni più "virtuose", si nota altresì che Austria, Belgio, Danimarca, Finlandia, Svezia e Svizzera
condividono tutte un "invidiabile" 25%, ben 8 punti al di sotto della media regionale.
La media a livello mondiale, invece, risulta accresciuta di ben 3 punti – dal 35% del 2006 al 38% del 2007 –
a causa degli elevati tassi di sviluppo che il settore ICT registra nei Paesi di recente sviluppo: ad esempio, la Russia (73%),
la Cina (82%), l'India (69%) e le nazioni delle aree geografiche relative a questi nuovi grandi mercati, tutte generalmente
assestate su percentuali d'illegalità nell'utilizzo del software elevatissime.
ARTICOLO PRESO DA "SOLE 24 ORE"
alle
5/16/2008
Arriva Space-itv, Web tv-interattiva dedicata a spazio e volo
Space Interactive Television. Finalmente è arrivata!!
La prima tv-interattiva tematica dedicata all'argomento Spazio e Volo.
16/05/08 - Finalmente è arrivata!!
La prima tv-interattiva tematica dedicata all'argomento Spazio e Volo.
Space-itv " Nello spazio attraverso internet ", la TV da la possibilità a tutti gli appassionati di questo argomento di caricare i propri video e di condividerli con tutti gli altri, news, invenzioni, teorie, voli, studi, aprofondimenti, scuole, lezioni, astronauti, scienziati etc.. è veramente il fulcro dell'argomento spazio e volo .Space-itv gode già di importanti collaborazioni con società ed aziende aerospaziali e scientifiche e nel suo organico vede coinvolti volti già noti al mondo televisivo come il Colonnello Mario e Andrea Giuliacci, il metereologo Paolo Corazon , la bellissima Claudia Borroni, il famoso Thomas Incontri con l'aereonautica militare e tantissimi altri .
La Tv e appena partita e già sono molti gli iscritti che ogni giorno con il passaparola arrivano su questa astronave e con il forum incominciano a creare costruttive argomentezioni , Space-itv che tra qualche settimana darà la data della vera partenza vi invita a bordo già ora per essere tra i primi a partecipare alla sua nascita , preparatevi alla sorprese perchè Space-itv vi porta " nello spazio attraverso internet ".
Benvenuti a bordo .
Link: http://www.space-itv.com/
La prima tv-interattiva tematica dedicata all'argomento Spazio e Volo.
16/05/08 - Finalmente è arrivata!!
La prima tv-interattiva tematica dedicata all'argomento Spazio e Volo.
Space-itv " Nello spazio attraverso internet ", la TV da la possibilità a tutti gli appassionati di questo argomento di caricare i propri video e di condividerli con tutti gli altri, news, invenzioni, teorie, voli, studi, aprofondimenti, scuole, lezioni, astronauti, scienziati etc.. è veramente il fulcro dell'argomento spazio e volo .Space-itv gode già di importanti collaborazioni con società ed aziende aerospaziali e scientifiche e nel suo organico vede coinvolti volti già noti al mondo televisivo come il Colonnello Mario e Andrea Giuliacci, il metereologo Paolo Corazon , la bellissima Claudia Borroni, il famoso Thomas Incontri con l'aereonautica militare e tantissimi altri .
La Tv e appena partita e già sono molti gli iscritti che ogni giorno con il passaparola arrivano su questa astronave e con il forum incominciano a creare costruttive argomentezioni , Space-itv che tra qualche settimana darà la data della vera partenza vi invita a bordo già ora per essere tra i primi a partecipare alla sua nascita , preparatevi alla sorprese perchè Space-itv vi porta " nello spazio attraverso internet ".
Benvenuti a bordo .
Link: http://www.space-itv.com/
alle
5/16/2008
Hp compra Eds per 13,9 miliardi di dollari e sfida Ibm
Il gigante di Palo Alto si fonde con la texana specializzata in It services. Nasce un colosso da 310mila dipendenti
e 130 miliardi di dollari di fatturato e una realtà sui servizi da 40 miliardi
Confermato: Hp compra Electronic Data Systems (Eds) per 13,9 miliardi di dollari.
È la più grande operazione nel campo dei servizi It. Il gigante di Palo Alto va così a coprire un'area dove si è avvalsa
solo di società terze e amiche, come Accenture. Ora invece sfida Ibm a tutto campo. E gli It services sono fondamentali
ora più che mai per competere con Big Blue e la sua potentissima divisione Global services. La chiusura dell'operazione
è prevista nel secondo semestre. La valutazione di Eds corrisponde a 25 dollari per azione con un premio del 32,6% sulle
quotazioni dello scorso venerdì. Il matrimonio fra Hp ed Eds è, come accennato, la più importante operazione mai registrata
nel campo dei servizi di Information Technology ed è stata approvata all'unanimità dai board dei due gruppi americani.
l'obiettivo di Hp non pare essere la mera colonizzazione del gruppo texano, quanto piuttosto creare una nuova, e più potente,
realtà dello strategico settore dei servizi, ovvero in quella area del mercato It dove ci sono margini di guadagno,
e di erogazione di valore aggiunto ai clienti business. L'hardware, e questo Ibm lo sa bene è, una commodity:
la differenza la fanno i servizi e ora Hp potrebbe essere in grado di competere al meglio con la storica rivale.
E in mezzo tra l'incudine Hp e il martello Ibm sta quella Dell che ora non fa più scintille come in passato.
«La fusione tra Hp ed Eds – ha dichiarato Mark Hurd, il numero uno del gigante californiano – permetterà di erogare,
insieme ai nostri partner, il più ampio, completo e competitivo portafogli di prodotto e servizi dell'intera industria informatica».
Dal merger delle due multinazionali nascerà un gruppo da 310mila dipendenti per un fatturato di circa 130 miliardi di dollari.
Ibm per fare un paragone ha 386mila dipendenti e un giro d'affari di 98,8 miliardi. Va detto che mentre Big Blue è focalizzata
esclusivamente sull'area business dell'informatica con hardware software e soprattutto servizi, Hp gioca a tutto campo anche
nel consumer con personal computer (Ibm li ha ceduti a Lenovo) e con le stampanti. E proprio in quest'ultima area risiede la
"cash cow" dei consumabili (inchiostri e cartucce). Sul fronte dei soli servizi It il fatturato combinato Hp+Eds ammonta di 38
miliardi e 210mila dipendenti con una presenza in 80 Paesi nel mondo. La fusione inizierà ad avere impatti positivi sugli utili
già nel 2009 e nel 2010 perché sono attese sinergie importanti.
Eds conserverà una certa indipendenza e sarà denominata Eds - an Hp company. In questo modo verrà mantenuto il
valore del brand della società texana che nel modo dei servizi gode di una reputazione pressocchè unica. La sua sede
rimarrà a Plano in Texas e resterà anche il suo presidente e amministratore delegato Ronald Ritternmeyer che riporterà
al numero uno di Hp Mark Hurd. Dopo l'annuncio Moody's ha confermato il rating di Hp e si prepara alla revisione al rialzo
per Eds. Per Hp, che lunedì 12 maggio ha ceduto al Nasdaq il 5% (scendendo sotto quota 47 dollari), l'acquisizione in un
mercato chiave come quello dei servizi It (consulenza, gestione delle risorse e dei processi, supporto tecnico) forniti in
outsourcing alle grandi aziende arriva sette anni dopo l'operazione da 19 miliardi di dollari (annunciata nel settembre 2001)
con la quale comprò Compaq, a quel tempo una delle sue più temibili concorrenti nei personal computer.
Eds, invece, è una delle regine di un mercato che vale globalmente poco meno di 800 miliardi di dollari
(è la stima di Gartner per il 2008, rispetto a un consolidato 2007 di 748 miliardi in crescita del 10,5%) e che vede lottare
spalla a spalla (oltre alla stessa Hp) colossi come Accenture, Ibm Global Services, Capgemini e Csc
(Computer Sciences Corp). Quello dell'outsourcing è anche un settore non nuovo a fusioni e alleanze di vasta portata
– Hp, di recente, ha acquisito una parte delle attività di Atos Origin, altro player salito alla ribalta dei servizi It all'inizio
degli anni 2000 – e la stessa Eds era finita nei mesi scorsi nel mirino di Deutsche Telekom, che negli intenti
(poi venuti meno) avrebbe integrato gli asset della società americana con quelli della sua divisione It T-Systems
(che invece ha stretto una partnership strategica con l'indiana Cognizant nel campo della system integration) per dare
sostanza alla sua nuova veste di operatore (si servizi It e telco) globale.
I servizi It sono un segmento che continua a crescere in modo costante anno dopo anno, sebbene non a ritmi velocissimi
(il tasso composito annuo di crescita dal 2006 al 2011 è compreso fra il 6 e l'8%), e che soprattutto garantisce elevati
margini di profitto anche in situazioni economiche non particolarmente brillanti. Gli intenti di Hp e del Ceo Mark Hurd
in tal senso sono chiarissimi: mettersi cioè nella condizione di sfidare ad armi pari la storica rivale Ibm, che di questo
mercato è sicuramente uno degli attori di riferimento, con un portafoglio d'offerta completo sotto tutti i punti di vista, e non
solo tecnologico. Dare in altri termini ulteriore potenza di fuoco alla divisione impegnata su questo fronte con le risorse di
uno dei player più accreditati nel mondo della system integration su scala mondiale. Ci aveva provato, senza successo,
anche Carly Fiorina nel 2000 a regalare a Hp il colpo grosso nei servizi It sferrando un deciso attacco a PriceWaterhouse
Coopers, ma il tentativo fallì e Pwc finì nella mani di Ibm (nell'ottobre del 2002, per 3,5 miliardi di dollari). Da allora la strategia
del colosso di Palo Alto si era orientata verso acquisizioni su scala locale (vedi The Technology Partner, società di
consulenza IT e system integration, in Italia) e mirate. Ora la nuova offensiva globale per dare la caccia a Big Blue, che
detiene la leadership nei servizi It con il 7,2% di market share. Con Eds, seconda alle spalle di Ibm con una quota di mercato
del 3%, Hp (che invece si ferma al 2,2%) andrebbe a creare un colosso con un giro d'affari di 39,4 miliardi di dollari
(che al cospetto dei 54 miliardi fatturati dalla società di Armonk nel 2007 sarebbero ancora "pochi", ma consegnerebbero
subito alla casa californiana lo scettro di secondo fornitore al mondo nel campo dei servizi It.
ARTICOLO PRESO DA " IL SOLE 24 ORE"
e 130 miliardi di dollari di fatturato e una realtà sui servizi da 40 miliardi
Confermato: Hp compra Electronic Data Systems (Eds) per 13,9 miliardi di dollari.
È la più grande operazione nel campo dei servizi It. Il gigante di Palo Alto va così a coprire un'area dove si è avvalsa
solo di società terze e amiche, come Accenture. Ora invece sfida Ibm a tutto campo. E gli It services sono fondamentali
ora più che mai per competere con Big Blue e la sua potentissima divisione Global services. La chiusura dell'operazione
è prevista nel secondo semestre. La valutazione di Eds corrisponde a 25 dollari per azione con un premio del 32,6% sulle
quotazioni dello scorso venerdì. Il matrimonio fra Hp ed Eds è, come accennato, la più importante operazione mai registrata
nel campo dei servizi di Information Technology ed è stata approvata all'unanimità dai board dei due gruppi americani.
l'obiettivo di Hp non pare essere la mera colonizzazione del gruppo texano, quanto piuttosto creare una nuova, e più potente,
realtà dello strategico settore dei servizi, ovvero in quella area del mercato It dove ci sono margini di guadagno,
e di erogazione di valore aggiunto ai clienti business. L'hardware, e questo Ibm lo sa bene è, una commodity:
la differenza la fanno i servizi e ora Hp potrebbe essere in grado di competere al meglio con la storica rivale.
E in mezzo tra l'incudine Hp e il martello Ibm sta quella Dell che ora non fa più scintille come in passato.
«La fusione tra Hp ed Eds – ha dichiarato Mark Hurd, il numero uno del gigante californiano – permetterà di erogare,
insieme ai nostri partner, il più ampio, completo e competitivo portafogli di prodotto e servizi dell'intera industria informatica».
Dal merger delle due multinazionali nascerà un gruppo da 310mila dipendenti per un fatturato di circa 130 miliardi di dollari.
Ibm per fare un paragone ha 386mila dipendenti e un giro d'affari di 98,8 miliardi. Va detto che mentre Big Blue è focalizzata
esclusivamente sull'area business dell'informatica con hardware software e soprattutto servizi, Hp gioca a tutto campo anche
nel consumer con personal computer (Ibm li ha ceduti a Lenovo) e con le stampanti. E proprio in quest'ultima area risiede la
"cash cow" dei consumabili (inchiostri e cartucce). Sul fronte dei soli servizi It il fatturato combinato Hp+Eds ammonta di 38
miliardi e 210mila dipendenti con una presenza in 80 Paesi nel mondo. La fusione inizierà ad avere impatti positivi sugli utili
già nel 2009 e nel 2010 perché sono attese sinergie importanti.
Eds conserverà una certa indipendenza e sarà denominata Eds - an Hp company. In questo modo verrà mantenuto il
valore del brand della società texana che nel modo dei servizi gode di una reputazione pressocchè unica. La sua sede
rimarrà a Plano in Texas e resterà anche il suo presidente e amministratore delegato Ronald Ritternmeyer che riporterà
al numero uno di Hp Mark Hurd. Dopo l'annuncio Moody's ha confermato il rating di Hp e si prepara alla revisione al rialzo
per Eds. Per Hp, che lunedì 12 maggio ha ceduto al Nasdaq il 5% (scendendo sotto quota 47 dollari), l'acquisizione in un
mercato chiave come quello dei servizi It (consulenza, gestione delle risorse e dei processi, supporto tecnico) forniti in
outsourcing alle grandi aziende arriva sette anni dopo l'operazione da 19 miliardi di dollari (annunciata nel settembre 2001)
con la quale comprò Compaq, a quel tempo una delle sue più temibili concorrenti nei personal computer.
Eds, invece, è una delle regine di un mercato che vale globalmente poco meno di 800 miliardi di dollari
(è la stima di Gartner per il 2008, rispetto a un consolidato 2007 di 748 miliardi in crescita del 10,5%) e che vede lottare
spalla a spalla (oltre alla stessa Hp) colossi come Accenture, Ibm Global Services, Capgemini e Csc
(Computer Sciences Corp). Quello dell'outsourcing è anche un settore non nuovo a fusioni e alleanze di vasta portata
– Hp, di recente, ha acquisito una parte delle attività di Atos Origin, altro player salito alla ribalta dei servizi It all'inizio
degli anni 2000 – e la stessa Eds era finita nei mesi scorsi nel mirino di Deutsche Telekom, che negli intenti
(poi venuti meno) avrebbe integrato gli asset della società americana con quelli della sua divisione It T-Systems
(che invece ha stretto una partnership strategica con l'indiana Cognizant nel campo della system integration) per dare
sostanza alla sua nuova veste di operatore (si servizi It e telco) globale.
I servizi It sono un segmento che continua a crescere in modo costante anno dopo anno, sebbene non a ritmi velocissimi
(il tasso composito annuo di crescita dal 2006 al 2011 è compreso fra il 6 e l'8%), e che soprattutto garantisce elevati
margini di profitto anche in situazioni economiche non particolarmente brillanti. Gli intenti di Hp e del Ceo Mark Hurd
in tal senso sono chiarissimi: mettersi cioè nella condizione di sfidare ad armi pari la storica rivale Ibm, che di questo
mercato è sicuramente uno degli attori di riferimento, con un portafoglio d'offerta completo sotto tutti i punti di vista, e non
solo tecnologico. Dare in altri termini ulteriore potenza di fuoco alla divisione impegnata su questo fronte con le risorse di
uno dei player più accreditati nel mondo della system integration su scala mondiale. Ci aveva provato, senza successo,
anche Carly Fiorina nel 2000 a regalare a Hp il colpo grosso nei servizi It sferrando un deciso attacco a PriceWaterhouse
Coopers, ma il tentativo fallì e Pwc finì nella mani di Ibm (nell'ottobre del 2002, per 3,5 miliardi di dollari). Da allora la strategia
del colosso di Palo Alto si era orientata verso acquisizioni su scala locale (vedi The Technology Partner, società di
consulenza IT e system integration, in Italia) e mirate. Ora la nuova offensiva globale per dare la caccia a Big Blue, che
detiene la leadership nei servizi It con il 7,2% di market share. Con Eds, seconda alle spalle di Ibm con una quota di mercato
del 3%, Hp (che invece si ferma al 2,2%) andrebbe a creare un colosso con un giro d'affari di 39,4 miliardi di dollari
(che al cospetto dei 54 miliardi fatturati dalla società di Armonk nel 2007 sarebbero ancora "pochi", ma consegnerebbero
subito alla casa californiana lo scettro di secondo fornitore al mondo nel campo dei servizi It.
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